La Corte Costituzionale stoppa il comparto unico

Dichiarate illegittime assunzioni e mobilità disposte dal 2011 da Regione e enti locali. Centinaia di incarichi a rischio

di Marco Ballico

TRIESTE

Il dietrofront dei trasferimenti ad altra sede. Il mancato rinnovo dei contratti a tempo determinato. Lo stop pure a quelli a tempo indeterminato. Sul comparto unico, più precisamente sulle assunzioni dal 2011 a oggi in Regione, Province e Comuni del Friuli Venezia Giulia, cala la scure della Corte costituzionale. Le deroghe previste dalla Finanziaria approvata a fine 2010, così decretano i giudici della Consulta, sono «fuori legge» in quanto violano i paletti del decreto Brunetta, il 78 di quell’anno, in materia di contenimento della spesa. E dunque centinaia di incarichi vanno cancellati.

La vicenda sta esplodendo in questi giorni, tanto che i sindacati hanno fatto partire una richiesta di incontro «urgente» con l’assessore alla Funzione pubblica Paolo Panontin. Vogliono capire come la giunta reagirà a una sentenza, la 54 di fine marzo, che incenerisce mobilità e nuovi posti di lavoro attivati nell’ultimo quadriennio nel comparto unico regionale. La Corte, presieduta da Gaetano Silvestri, ha impallinato vari passaggi della legge regionale 22/2010 (la Finanziaria), impugnata dal governo nel marzo 2011, e in particolare ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dei commi 30 e 31 (quest’ultimo peraltro abrogato nel 2012) dell’articolo 12, lì dove la Regione, pur richiamando gli obiettivi di contenimento della spesa pubblica fissati dal decreto Brunetta, dispone che continui a trovare applicazione il lungo elenco di deroghe in materia di assunzioni pubbliche previste dalla precedente Finanziaria Fvg, quella del 2010 (articolo 13, commi dal 14 al 23). In sostanza, la Regione dava il via libera alla copertura delle carenze d’organico a Palazzo come nelle autonomie locali mediante procedure di mobilità all’interno del comparto ma, nel caso in cui quelle procedure avessero esito negativo, apriva la strada alla collaborazione coordinata e continuativa (fino al 2014 compreso) in deroga al limite del 20% di spesa rispetto alle cessazioni dei tempi indeterminati dell’anno precedente. Deroghe che la Corte ritiene però «non individuate dalle leggi dello Stato» e che riguardano tra l’altro incarichi nei Comuni sotto i 5mila abitanti, in quelli turistici, in quelli gestori di ambiti socio-assistenziali e ancora addetti per le Politiche del lavoro delle Province, la Protezione civile, la Polizia municipale, i lavori di pubblica utilità, i progetti coperti da fondi comunitari, i servizi educativi e di integrazione scolastica. Mano libera, insomma, nei pubblici uffici, nella sanità, nella scuola.

Un’autonomia che, secondo la Consulta, la Regione non avrebbe dovuto prendersi. Anche perché deroghe a parte – è un altro passaggio della sentenza – la disciplina del Friuli Venezia Giulia fissa un limite diverso da quello della legislazione statale. Se infatti la norma regionale fa riferimento, sia per i tempi determinati che per quelli indeterminati, al 20% della spesa corrispondente alle cessazioni dell’anno precedente, il “Brunetta” piazza il paletto del 50% della spesa per il personale a tempo determinato dell’anno 2009. Tutto da rifare, a questo punto. Chi si è trasferito di sede dovrà rientrare alla base. E altre centinaia di contratti di lavoro sottoscritti dal 2011 a oggi, così sentenza la Corte, non possono essere ritenuti validi.

«Sulla carta è così - commenta Mafalda Ferletti, segretaria della Funzione pubblica della Cgil -, ma dobbiamo capire che cosa intende fare la Regione di fronte all’ultimo “regalo” della scorsa legislatura, quella del record delle norme impugnate dal governo». La mazzata sul comparto? «Crediamo si tratti di resistere spiegando che, proprio grazie al comparto, e quindi alla nostra autonomia, siamo riusciti a contenere in un triennio il numero dei lavoratori di un migliaio di unità, con risparmi pari a 40 milioni all’anno, ben superiori a quelli previsti dal decreto Brunetta. Insomma, chi ci attacca sul fronte dei costi sbaglia obiettivo».

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