La corsa a ostacoli per scoprire e produrre verso il vaccino
TRIESTE A qualsiasi esperto venga chiesto quanto tempo ci vorrà per un vaccino la risposta è sempre la stessa: almeno 12-18 mesi. Sembra lungo, ma in realtà è un tempo brevissimo. Ci abbiamo messo 15 anni per un vaccino per il papillomavirus (tumore dell’utero) o il rotavirus (diarree infantili). E non siamo ancora arrivati ad averne uno per HIV, scoperto negli anni ’80. Ottenere un vaccino per il coronavirus dovrebbe comunque essere più facile: il bersaglio sembra ben delineato (la proteina Spike del virus, quella che sporge a raggiera), la maggior parte delle persone guarisce dall’infezione (segno che il sistema immunitario è in grado di fronteggiare il virus, cosa che invece non avviene per HIV) e abbiamo a disposizione tecnologie molto più efficaci che in passato.
Se c’è quindi da essere ottimisti sullo sviluppo del vaccino nei laboratori, rimangono però almeno due problemi insoluti: primo, come gestire la corsa non coordinata di produttori diversi, secondo come farne centinaia di milioni (milioni!) di dosi. Sono circa 100 ora i vaccini in via di sviluppo. Vincerà chi arriverà per primo o chi farà il vaccino più efficace, anche se questo arriva dopo sul mercato? È impossibile pensare che 100 vaccini diversi possano essere tutti provati nell’uomo indipendentemente. Come fare allora a priorizzarli? C’è chi suggerisce di avere un’unica sperimentazione continua senza limiti di tempo, sotto l’egida di un ente transnazionale. I diversi produttori fanno riferimento a questo ente non appena hanno un vaccino da provare. Così tutti i vaccini sono testati nella stessa maniera e salgono o scendono in graduatoria a seconda della loro efficacia comparativa. Un po’ come si fa nei circoli di tennis, in cui la graduatoria sociale è stabilita giocando contro gli avversari vicini in classifica: chi vince sale, chi perde scende. Bello da dire, ma molto difficile in pratica: se un vaccino “perde” contro un altro, nessuno lo vorrà più e le centinaia di milioni di investimento per produrlo andranno in fumo. Non molto appetibile per gli investitori.
Il secondo problema riguarda la produzione. Non esistono stabilimenti in grado di produrre centinaia di milioni di dosi. Bisognerà allora riconvertire altri stabilimenti di produzione o costruirne di nuovi nei diversi Paesi. Questo processo potrebbe cominciare ora, ma per quale vaccino? Le tecnologie attualmente sperimentate sono così diverse le une dalle altre ed è così imprevedibile quello che funzionerà che è impossibile anticipare i tempi.
Morale della storia: quello del vaccino è un rebus di strategia gestionale e di economia che va ben al di là del lavoro dei ricercatori nei laboratori. —
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