La copertura del pozzo ha fatto leva e Stefano è precipitato nel vuoto. Sul fondo trovata la mappa
GORIZIA. Stefano molto probabilmente non è mai salito sulla copertura del pozzo, non è nemmeno saltato con i piedi su quella debole lamiera che copriva l’apertura su un orrido di 30 metri. Molto più semplicemente, e in maniera tragica, potrebbe essersi sporto un po’ troppo oltre il bordo in pietra dello storico manufatto alto soltanto 70 centimetri. Ha perso l’equilibrio per afferrare la mappa con gli indizi che, nella concitazione della sfida assieme agli altri sei compagni che l’accompagnavano euforici e divertiti, si era pure spostata.
Sbilanciato si è poggiato con la mano sulla copertura in equilibrio precario sull’imboccatura, di diametro più piccola del foro del pozzo largo 120 centimetri, che da quanto emerge non era nemmeno fissata con le viti sulle staffe, una delle quali pare fosse anche rotta. Il coperchio ha fatto leva nel mezzo, disancoradosi da quei ganci irrisori, staccandosi. Stefano a quel punto è precipitato a testa in giù e con lui è venuta giù pure la copertura poi riportata in superficie.
Ma anche la mappa che è stata trovata dai soccorritori in fondo al pozzo. Accanto c’era il corpo senza vita del tredicenne, in posizione supina. Questa è l’ipotetica ricostruzione della dinamica della tragedia avvenuta nel cortile delle scuderie del parco Coronini mercoledì mattina in cui ha perso la vita Stefano Borghes.
Una ricostruzione basata su diversi elementi raccolti dalle testimonianze e le indiscrezioni dei diversi, ed erano moltissimi, attori della tragica mattinata di mercoledì scorso. Ed è proprio la dinamica dell’incidente che bisogna chiarire, un compito che spetta alla Procura della Repubblica che ha aperto un fascicolo per omicidio colposo. Non ci sono da individuare soltanto le responsabilità, dalla manutenzione del pozzo alle responsabilità dei centri estivi e delle giovani animatrici che accompagnavano il gruppetto.
C’è da capire cos’è realmente avvenuto quella mattina e la dinamica esatta della tragedia. Un quadro che potrà essere chiarito soltanto dai sei ragazzi che in quel momento erano con Stefano attorno al pozzo per raccogliere la mappa con gli indizi della caccia al tesoro, poggiata sul coperchio in lamiera.
Quanta eccitazione c’era in quel momento tra i ragazzi che stavano sicuramente vivendo quelle ore come un’avventura mista a una sfida sportiva. Un’eccitazione che si è spenta tragicamente quando Stefano, dopo aver perso l’equilibrio, è precipitato in quel pozzo tra gli sguardi atterriti dei compagni. C’era all’interno una scala ruggine e malridotta che portava dall’imboccatura verso al fondo, una struttura in ferro pericolante e interrotta in più punti. Questo hanno raccontato alcuni dei vigili del fuoco che si sono calati nel pozzo per tentare di recuperare Stefano che speravano fosse ancora vivo.
Una speranza impossibile, lo avevano capito subito i soccorritori a un primo esame della cavità. Stefano era riverso sul fondo a trenta metri di profondità e non rispondeva. Una caduta a testa in giù per trenta metri lungo i quali ha sbattuto più volte su vari spezzoni metallici della stessa scala pericolante, che gli hanno procurato tali e così importanti traumi che hanno spento la sua vita ancor prima di toccare il fondo asciutto e privo d’acqua. Un quadro talmente drammatico da aver turbato profondamente gli stessi vigili del fuoco del Nucleo speleo-alpino-fluviale chiamati per recuperare il corpo del ragazzo.
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