La Contrada declassata: per Roma è solo impresa teatrale

Al “Bobbio” negato il Tric e il Centro di produzione. A rischio il contributo statale di 485mila euro
La sala piena del teatro Bobbio
La sala piena del teatro Bobbio

Nè Teatro di rilevante interesse culturale (Tric), nè Centro di produzione. Nel giorno in cui viene ripescato l’Archivolto di Genova (rimasto fuori per un errore dell’ufficio stampa), arriva la mazzata per La Contrada (Teatro Bobbio) e per la Regione Friuli Venezia Giulia.

«Dopo due giorni di incertezza e silenzio totale da parte del Ministero per i Beni e le Attività culturali - si legge nel comunicato diffuso ieri dall’ufficio stampa del teatro - è arrivata l’attesa sentenza per La Contrada, uno dei 32 organismi che hanno fatto domanda per Tric, misteriosamente “sparito” dalla prima lista che decretava chi aveva raggiunto l’obiettivo e chi invece veniva riconosciuto come Centro di produzione teatrale (come il Css di Udine).

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Un'immagine della sala del teatro Stabile sloveno

La Contrada viene ulteriormente “declassata” a Impresa di produzione teatrale o, in alternativa, a Organismo di programmazione: ovvero semplice compagnia teatrale che produce spettacoli (come se non avesse un’intera stagione del Teatro Bobbio da gestire) oppure mero contenitore di titoli in ospitalità (come se la Contrada non avesse nel suo dna la produzione di spettacoli teatrali: poco meno di 400 dal 1976 ad oggi)».

La ciliegina che mancava al “capolavoro” teatrale della politica culturale regionale dopo l’autoesclusione dal circuito dei Teatri nazionali perseguita dal Rossetti nel suo dorato isolamento di conti in rosso.

«Questa notizia - denuncia il Teatro Bobbio - è una grave sconfitta non solo per La Contrada, per il suo personale, per la storia quasi quarantennale di questa struttura, ma per l’intera città e per la regione». A rischio c’è ora l’entità del contributo Fus (485mila nel 2014) e l’apporto degli enti locali (per le imprese teatrali non c’è alcun obbligo di legge). «Il declassamento della Contrada, che non potrà essere affrontato senza una forte presa di posizione da parte delle forze politiche locali, provocherà un’ulteriore riduzione delle risorse che prima venivano distribuite sul territorio in termini di occupazione, oneri contributivi, tasse, indotto, senza contare il servizio reso alla cittadinanza e la valorizzazione di un intero quartiere».

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Il pubblico del Rossetti durante uno spettacolo

Una sentenza dura da accettare. «La Contrada ha formato attraverso i suoi spettacoli, i suoi laboratori e non da ultimo la sua scuola di teatro, due generazioni di attori; ha ristrutturato e riaperto al pubblico il piccolo Teatro dei Fabbri; ha creato dal nulla il nuovo filone della drammaturgia in lingua triestina con autori come Tullio Kezich, Claudio Grisancich, Pino Roveredo; ha espresso due attori, Orazio Bobbio e Ariella Reggio, assurti a fama nazionale».

È servito a qualcosa? Non è servito a nulla neppure avere arruolato come direttore la promessa cinematografica Matteo Oleotto (“Zoran, il mio nipote scemo”). «Tutti elementi che oggi spariscono a fronte di cosa? Non si sa - si legge nell’amara nota del Teatro Bobbio -. Nessuno lo spiega: il nuovo decreto prevede una discrezionalità altissima di valutazione “artistica” che in realtà è la foglia di fico per tagliare fondi alla cultura nella migliore tradizione di tutti gli ultimi governi».

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Qual è la colpa della Contrada? «Quella di non aver promosso maggiori spettacoli “di ricerca” o di “teatro danza” (che interessano una piccolissima nicchia di pubblico) prediligendo invece spettacoli di maggior attrattiva? Improbabile visto che molti Teatri Nazionali e Tric presentano nella loro programmazione appuntamenti commerciali quali commedie brillanti, musical e serate di comici. Giudicare la decisione del Mibac come risultato di una “bassa valutazione artistica” o di un mancato raggiungimento dei parametri da rispettare è pura ipocrisia, soprattutto a fronte di altre realtà che “ce l’hanno fatta” senza avere neanche la metà dei numeri e della storia della Contrada».

La morale? «Si rischia di vanificare quel sistema teatrale regionale di eccellenza che è stato costruito con decenni e decenni di finanziamenti pubblici. Evidentemente il Ministero ha necessità di salvaguardare le rovine di Pompei a scapito del sistema teatrale nazionale, in particolare quello privato». Le macerie e i crolli ci sono già.

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