La contesa Grecia-Albania sul confine marittimo

Nodo irrisolto da decenni, Tirana e Atene cercano un accordo. Ma c’è chi chiede di rivolgersi a un tribunale internazionale come nel caso del Golfo di Pirano

ZAGABRIA. «Risolveremo presto i nostri problemi con l’Albania. Stiamo sbrigando delle faccende che sono andate avanti per settant’anni e io non andrò in vacanza prima di aver chiuso anche questo capitolo». Dopo avere affrontato l’annosa questione del nome della Macedonia (che da Fyrom è destinata a divenire “Macedonia del nord”), il ministro degli Esteri greco Nikos Kotzias si rivolge ora alla vicina Albania, con la quale persiste una controversia legata alla definizione del confine marittimo. Negli ultimi mesi le autorità greche e albanesi si sono incontrate a più riprese per discutere il tema, ma ora - dopo l’epilogo dei negoziati con Skopje - Atene spinge per trovare un accordo entro fine giugno anche con Tirana.

Nel mar Ionio, dove l’isola di Corfù si affaccia al largo della cittadina albanese di Saranda, tra i due paesi si snoda un braccio di mare largo appena un paio di chilometri. Proprio questa vicinanza pone il problema di stabilire come debbano essere suddivise le acque di reciproca competenza, tenuto conto anche dei tre isolotti greci a nord di Corfù. Se la questione è rimasta aperta così a lungo, è perché tra i due paesi esiste ancora tecnicamente uno “stato di guerra”, introdotto in Grecia con una legge del 1940 che da allora non è mai stata abolita (secondo Tirana, Atene in questo modo non vuole pagare le riparazioni di guerra agli albanesi espulsi dal territorio greco durante la Seconda guerra mondiale).

Un contesto diplomatico delicato, dunque: ma nel momento in cui l’Albania bussa alle porte dell’Unione europea, risolvere le controversie bilaterali è diventata una priorità. E non è la prima volta che Tirana ci prova. Già nel 2009 i due governi avevano trovato un accordo sul confine marittimo (limitandosi a ribadire il principio di equidistanza dalla linea mediana), ma l’anno successivo la Corte costituzionale albanese ha annullato tutto, sancendo che il governo di Tirana, che aveva negoziato per due anni e sottoscritto il trattato, non aveva agito in qualità di “plenipotenziario”, ovvero lo aveva fatto senza che il Presidente della repubblica e il Parlamento gli attribuissero i «pieni poteri» in sede internazionale. Qualche anno più tardi i socialisti di Edi Rama (che nel 2009 avevano portato l’accordo all’attenzione della Corte costituzionale) cercano loro stessi un compromesso con Atene e, per questo, trattano in questi giorni con il capo di Stato Ilir Meta per ottenere da lui il mandato per negoziare.

Rama ha incontrato Meta proprio ieri. Ma la missione non è semplice. Il Partito democratico, autore del compromesso del 2009 e oggi all’opposizione, accusa Rama di voler cedere «mille chilometri quadri di mare ai greci» e insiste perché il paese si rivolga a un tribunale internazionale, come fatto (senza molto successo, finora) da Croazia e Slovenia sul golfo di Pirano. Il ministro degli Esteri albanese Ditmir Bushati smentisce e assicura che «l’accordo del 2009 è stato negoziato sulla base del principio di equidistanza e per quello nuovo ci stiamo basando sul principio di equidistanza, adattato al contesto geografico». Ma i dubbi rimangono. A inizio anno, il greco Kotzias ha anticipato alla Tv che Tirana ha accettato di far avanzare il confine ellenico di 12 chilometri.

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