La coincidenza a Mestre rimane un miraggio

L’ora guadagnata con il veloce Frecciabianca da Milano vanificata dalle snervanti attese nellla stazione veneta

C’era una volta un treno Frecciabianca che da Milano arrivava a Venezia in due ore, con sola fermata a Padova. Era l’alba di una nuova rete di trasporti e l’entusiasmo correva ad alta velocità lungo quasi tutta la penisola. Il nuovo treno faceva guadagnare un’ora di viaggio (pagata, per l’amor di dio, a caro prezzo) a tutti i viaggiatori del Nordest. Peccato, arrivare a Mestre e scoprire il trucco. Con la fiducia infranta di un bambino che ha creduto davvero a Babbo Natale e, smascherandolo, si sente di colpo uno scemo, allo stesso modo i pendolari del Nordest approdavano a Mestre per vedere crollare il miraggio dell’ora guadagnata.

Sia il treno per Udine sia quello per Trieste, immancabilmente, erano partiti da pochi minuti. Toccava un’ora d’attesa, con la beffa di aver pagato caro il biglietto, per l’illusione di un viaggio più breve.

I passeggeri protestarono, e si disse loro che Trenitalia non aveva colpa, era il servizio regionale che non si coordinava. E il beneducato viaggiatore del nordest si vergognò di chiedere: ma il servizio regionale non è sempre di Trenitalia?

I passeggeri protestarono ancora, e il treno scomparve.

Io l’ho preso molte volte in quei mesi, che pure furono così pochi che ora dubito della mia memoria e credo che quel treno sia stato il miraggio di un viaggiatore sfinito.

Adesso, mentre scrivo queste parole, sono ancora una volta su un treno. Una Frecciabianca che percorre la linea Milano-Trieste. Sono le 19.40. Ho avuto una brutta giornata e sono saltata su questo treno d’impulso, decisa a fare una sorpresa anche se per poche ore, dato che domattina tornerò di nuovo a Milano.

Arrivata in stazione Centrale alle 18.50, il tabellone segnava quindici minuti di ritardo, poi sono diventati venticinque, e l’idea romantica di scrivere un pezzo indulgente e sentimentale sui viaggi in treno, sul dondolio dolce della carrozza e il respiro arioso del paesaggio dal finestrino, la gentilezza dei controllori e gli incontri fatali con vicini vagabondi, si è infranta contro il bagliore arancione del tabellone, che continuava a incrementare i minuti di ritardo.

A un certo punto, contro ogni attesa, è comparso il numero del binario. E ho creduto ancora di riuscire a prendere la coincidenza a Mestre che mi avrebbe portato a Trieste per mezzanotte.

Il treno parte, sogno il recupero. Pochi metri dopo la volta di ferro da monumento industriale, il treno si arresta. Poi riparte, lentissimo. Poi di nuovo fermo. Annunciano quarantacinque minuti di ritardo. Posto su twitter la mia situazione e inizio a scrivere.

Superiamo Brescia e Vicenza, sempre con quarantacinque minuti di ritardo. Ho fiducia in un uguale contrattempo dell’Intercity che mi attende a Mestre.

Di solito, in Friuli, viaggio con i regionali, ma a quest’ora la prima coincidenza è un Intercity: il più reietto dei treni ancora in circolazione, peggio della littorina che collega Pordenone a Portogruaro. Penso ai sedili con la testiera di pelle marrone che ha sorretto chissà quante teste sudate, all’imbottitura di finto velluto di quel giallo così anni Settanta da sposarsi al linoleum degli infissi, al pavimento pieno dei resti di pranzi e cene dei viaggiatori esausti da Napoli. E poi gli scompartimenti con le porte che si chiudono, evocando gite di classe e turni di veglia nelle notti in Interrail per la Costa Azzurra o Vienna.

Mi informo dal controllore: «Riusciamo a recuperare, oppure l’Intercity ci aspetta?». Mi guarda con l’espressione di chi si sente chiedere se pioverà, nel bel mezzo della stagione monsonica. «Le coincidenze non si aspettano più» sentenzia con ovvietà. «Ma che problema c’è?» insiste sorpresa dalla mia faccia esausta, «può prendere il regionale VELOCE».

Le faccio presente che quello che intende lei va sì a Trieste, ma via Udine, ci mette tre ore e mi porta in città all’una e mezza. «Be’, ritardo più, ritardo meno» sorride con allegria. Io ne muoio, ma ordinatamente torno al mio posto.

A Mestre arriviamo con cinquanta minuti di ritardo. Dieci sotto la soglia oltre la quale si ha diritto al rimborso – accade spesso. Una marea di treni in ritardo di cinquanta minuti, pochissimi di un’ora.

La stazione di Mestre by night è elettrizzante quanto una campagna della Lega nord e mi rifugio in un bar dove passerò l’ora successiva leggendo un libro sul disastro nucleare in Giappone.

È notte fonda quando vedo il mare scuro e le luci di Roiano, il viale Miramare che la domenica attraverso correndo. Già, la domenica... quando devo abbandonare Trieste alle 17.44 perché dopo non c’è treno a collegare la città con l’ovest, con Milano.

Entro a Trieste e mi immalinconisco con un ultimo pensiero: dicono che è prevista la cancellazione del diretto notturno Trieste-Roma. Quel treno, per quasi due anni, è stato per me la felicità raggiunta. E ora, se potessi avere un desiderio, vorrei che quella felicità inestimabile continuasse a essere regalata a tutti i viaggiatori che partiranno da Trieste a tarda notte e a chi aspetterà sulla banchina o all’uscita di una metropolitana contando i minuti.

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