La cicatrice indelebile del delitto di Gretta

Il parroco Padre Roberto: «Quel giorno abbiamo capito che il male è vicino a noi». I commercianti della zona: «Nulla è come prima, abbiamo paura»
Di Pierpaolo Pitich

Sono passati due anni da quella notte terribile. Una notte di violenza e di follia, culminata con un delitto atroce: quello di Giovanni Novacco, un ragazzo di soli 23 anni, legato, imbavagliato, torturato per ore ed infine barbaramente ucciso dai suoi aguzzini, Giuseppe Console e Alessandro “Tex” Cavalli, in uno stabile abbandonato di via Gemona, all'interno di una delle palazzine del complesso di case popolari. Ma in realtà è come se il tempo si fosse fermato improvvisamente in quella notte tra il 25 ed il 26 agosto del 2011. Le lancette dell'orologio si sono bloccate dentro un incubo senza fine. Una ferita che, a distanza di ventiquattro mesi, sanguina ancora e fa fatica a rimarginarsi: una cicatrice destinata a lasciare il segno ancora per molto tempo, all'interno di una comunità che non riesce a dimenticare. E se la condanna all'ergastolo in primo grado per entrambi gli autori del massacro, in qualche modo può dare un senso di giustizia, non basta in ogni caso ad alleviare un dolore ancora ben impresso nelle coscienze di tutti.

«Quel giorno abbiamo avuto tutti la consapevolezza di come il “male” non sia troppo lontano da noi, anche se spesso non ce ne rendiamo conto - spiega nella sua riflessione Padre Roberto, parroco della chiesa di Santa Maria del Carmelo, nel cuore di Gretta -. E' questo il motivo per il quale dobbiamo lavorare, giorno per giorno, per costruire il bene e per far sì che il male non prenda piede. Un episodio grave e drammatico che ha provocato grande sgomento, che ha lasciato sbigottita tutta la comunità e che ci ha fatto capire come ci sia un forte bisogno di aiuto e di solidarietà, oltre che la necessità di aprire i cuori e di confrontarsi. La condanna ovviamente non risolve tutti i problemi: è giusto però che i colpevoli paghino per il male provocato, ma la cosa importante è che vengano aiutati a prendere coscienza di quello che hanno fatto». Un delitto efferato, imprevedibile, inimmaginabile, che ha scosso l'intero quartiere. «Si è trattato indubbiamente di un fulmine a ciel sereno, una situazione alla quale nessuno di noi era preparato - racconta Piero Ambroset, vice presidente della terza circoscrizione -. Che nel rione ci fosse qualche sacca di disagio o alcuni episodi di bullismo era un fatto noto, e proprio per questo, da tempo, ci stiamo muovendo attivamente come circoscrizione, in una sorta di sentinella del territorio. Ma da qui ad arrivare a quello che poi è effettivamente accaduto, non era un fatto preventivabile. Credo che la doppia condanna all'ergastolo rappresenti in qualche modo una certezza della pena per i due colpevoli, che devono pagare per quello che hanno fatto e che peraltro finora non hanno mai dato un segnale di pentimento e di ravvedimento».

Per i rioni di Roiano, teatro delle scorribande della banda di bulli, e per quello di Gretta, dove si è consumato l'efferato delitto, uno dei più atroci nella storia di Trieste, da quella notte di sangue nulla è stato più come prima. «E' stata una cosa orribile - commenta Luciana, titolare della rivendita di pane in Salita di Gretta -. Un fatto gravissimo che continua a lasciare il segno in un rione che è sempre stato tranquillo. Da qual giorno però qualcosa è cambiato: adesso, soprattutto di sera, abbiamo paura, è come se improvvisamente si fosse perduta l'innocenza di un tempo». Pensieri condivisi anche da Giuliano, gestore del bar, punto di riferimento dell'intero quartiere. «Si tratta di un fatto che non può avere una spiegazione logica - ammette -. Una ferita incancellabile, un episodio di una violenza inaudita alla quale non siamo abituati, avvenuto proprio a casa nostra. Il rione è ancora oggi sotto choc e le persone che incontro ogni giorno, spesso parlano e ricordano quel delitto». Piero, titolare di una rivendita di giornali in Strada del Friuli, a poca distanza dalla casa degli orrori, non ha dubbi: «Un episodio terrificante che si fa davvero fatica a metabolizzare - dichiara -. Un ricordo ancora vivo e ben impresso nella memoria di tutti. La condanna degli autori del delitto dà un senso di giustizia, ma non riesce comunque a spiegare come possa essere accaduto un fatto simile». E sulla stessa lunghezza d'onda si sintonizza Ingrid, del panificio di via Stock. «I ragazzi di quella banda li vedevamo e li conoscevamo bene - racconta -. Che potesse accadere qualcosa di grave era nell'aria, ma nessuno poteva immaginare una cosa simile. La condanna è esemplare ma non sarà mai sufficiente per rendere giustizia di tutto quello che hanno fatto».

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