La Chiesa serbo ortodossa a un bivio, il Sinodo elegge il suo nuovo patriarca

Il ruolo del successore di Irinej sarà importante per il futuro politico di Vučić e per l’ipotizzata visita del Papa a Mosca 
epa08835396 Serbian President Aleksandar Vucic pays last respect to the late Serbian Patriarch Irinej during his funeral at the Saint Sava temple in Belgrade, Serbia, 22 November 2020. According to media reports Patriarch Irinej died on 20 November 2020 in Belgrade, Serbia at the age of 90 after being admitted to a hospital for having symptoms of Covid-19 disease. EPA/ANDREJ CUKIC
epa08835396 Serbian President Aleksandar Vucic pays last respect to the late Serbian Patriarch Irinej during his funeral at the Saint Sava temple in Belgrade, Serbia, 22 November 2020. According to media reports Patriarch Irinej died on 20 November 2020 in Belgrade, Serbia at the age of 90 after being admitted to a hospital for having symptoms of Covid-19 disease. EPA/ANDREJ CUKIC

BELGRADO. Una data, questo 18 febbraio 2021, che potrebbe diventare storica per la sorte dell’ecumenismo in Europa. Oggi la Chiesa serbo ortodossa eleggerà, dopo 90 giorni di lutto e di intrighi seguiti alla morte di Irinej colpito dal Covid-19, il 46esimo patriarca. Patriarca che, come dimostrano le mosse della diplomazia vaticana negli ultimi anni, giocherà un ruolo fondamentale per la visita del Papa a Belgrado, vera anticamera del viaggio del Santo padre a Mosca e per il mantenimento della leadership in Serbia del presidente Aleksandar Vučić che ancora deve sopravvivere al “crash test” del Kosovo. Perché smentendo ancora una volta il principio di “libera Chiesa in libero Stato” in Serbia oggi chi è nemico della Chiesa serbo ortodossa è nemico del popolo serbo e chi è nemico del popolo serbo soccombe. Cambiano i sicari, non il risultato.

Che l’elezione del nuovo patriarca serbo ortodosso non sia solo cosa d’interesse della sua Chiesa lo dimostrano alcuni fatti del passato prossimo, poco conosciuti e reclamizzati, perché si sa, il Vaticano quando si muove lo fa con passi di velluto. Ricordiamo che il caso della santificazione del cardinale croato Alojz Stepinac, figura controversa per i suoi rapporti con il regime ustascia del poglavnik Ante Pavelić, sono per Aleksandar Vučić una delle questioni più dolorose per la nazione serba assieme al campo di sterminio di Jasenovac.

Ma questo non gli ha impedito nel febbraio del 2018, durante la sua visita a Zagabria, di parlare con il cardinale Josip Bozanić su sua richiesta personale, proprio sotto il dipinto del controverso Stepinac. I due interlocutori hanno convenuto, assicurano i "bene informati", sul possibile arrivo del Papa a Belgrado, che la Santa Sede ha dietro l’angolo e che apre la strada a Mosca e quindi alla storica normalizzazione dei rapporti con la Chiesa ortodossa russa.

Infatti, fonti vicine alla Chiesa cattolica in Croazia affermano che la visita di Papa Francesco a Belgrado «potrebbe davvero avvenire presto». Alcuni fatti lo suggeriscono. Nell'ottobre dello scorso anno, il Nunzio Apostolico in Croazia, Giorgio Lingua, ha visitato il Vescovo di Požega, Antun Škvorčević, con il quale ha visitato Jasenovac in compagnia del Vescovo di Pakrac e Slavonia, Jovan Ćulibrko. Forse per caso, o no, a quell'ora, solo uno o due giorni dopo, il nunzio apostolico a Belgrado, Luciano Suriani, era a Zagabria in visita al collega Lingua.

All'inizio dello scorso novembre, il quotidiano di Belgrado Politika ha pubblicato un'ampia conversazione con Papa Francesco, che molti hanno descritto come un annuncio aperto della sua visita rispettivamente a Belgrado e in Serbia. Tuttavia è sempre difficile prevedere se questa visita si farà tra un mese o tra un anno, anche perché la Chiesa è un istituzione in cui il tempo scorre in modo diverso. Del resto sono passati già tre anni dalla missione del segretario di Stato della Santa sede, cardinale Pietro Parolin a Belgrado, prima pietra del sentiero che ha iniziato a collegare la capitale serba con la Città del Vaticano.

Tra i “patriarcabili” di oggi ci sono numerosi nomi. Quello del vescovo Grigorije, 52enne capo della diocesi serbo-ortodossa di Düsseldorf e di tutta la Germania, critico schietto del governo del Partito progressista di Vučić e che solo lunedì scorso ha scritto in un tweet: «Cristo ci insegna che nessuno può servire due padroni». Gli altri sono il vescovo Irinej, che è considerato vicino a Mosca e esercita una notevole influenza all'interno della Chiesa; monsignor Porfirije, metropolita di Zagabria e Lubiana; monsignor Jovan di Sumadija, una delle più grandi diocesi e il vescovo Joanikije, attualmente amministratore della Chiesa ortodossa serba in Montenegro. Il successo per Grigorije o Joanikije potrebbe rappresentare un problema per Vučić. Porfirije e Jovan hanno parlato caldamente del presidente, così come Irinej, ma l'influenza e le connessioni di quest'ultimo potrebbero diventare comunque una sfida per il governo. 

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