La chiesa in Porto Vecchio? Costava 350mila euro
Era di 350mila euro l’investimento che la Diocesi di Trieste si apprestava a fare per costruire una chiesetta in Porto Vecchio oltre ad accantonare il denaro per pagare i canoni di concessione e le polizze assicurative. «Ma non siamo stati noi a farci avanti, è Marina Monassi che ce l’ha proposta», ha dichiarato ieri il vicario generale don Pier Emilio Salvadé.
«Un’operazione a costo zero», l’aveva definita lo stesso vescovo Giampaolo Crepaldi. «Perchè tutta l’operazione doveva essere finanziata da gruppi di di imprenditori e di benefattori», ha specificato ieri la Curia, come si legge nel dettaglio nella pagina a fianco. Fatto sta che non appena è esplosa la polemica, sollevata in particolare dal segretario regionale della Cgil Franco Belci anche con un esposto alla Corte dei conti, i potenziali benefattori si sono dileguati. E la Curia solo un paio di mesi dopo aver presentato la richiesta di concessione, ha inoltrato all’Autorità portuale la rinuncia, senza poi dare nemmeno un minimo di pubblicità al passo indietro rispetto a un’azione che pure aveva suscitato clamore e anche una serie di proteste.
È un documento in particolare che permette di inquadrare nei giusti termini una questione che non era mai stata completamente trasparente. È una lettera datata 30 giugno 2014 in cui il ragionier Giovanni Miccoli, in qualità di consulente commercialista della Curia della Diocesi di Trieste attesta «che la durata di anni 30 di cui all’istanza di concessione prot. 371/2014 datata 27 maggio 2014 della Diocesi di Trieste è compatibile con l’investimento previsto nel progetto (euro 350mila)».
Il 27 maggio era stata appunto inviata all’Authority l’istanza di concessione nella quale lo stesso monsignor Salvadé (procuratore generale) legale rappresentante della Diocesi, si impegnava anche «all’osservanza di quanto previsto dal Codice della navigazione e relativo regolamento di esecuzione e in particolare a costituire fidejussione o deposito cauzionale a garanzia del pagamento dei canoni demaniali e polizza assicurativa all risks su opere e beni oggetto della concessione».
Il “manufatto” in questione è l’ex Centrale di compensazione del porto che ha l’irrisoria superficie di 18 metri quadrati sviluppati su due piani e che si trova vicino ai varchi di entrata di largo Santos. La concessione riguarda anche 280 metri quadrati dello spazio aperto antistante e viene richiesta appunto per trent’anni «al fine di adibire l’edificio a luogo di culto».
E sarebbe stata proprio l’Autorità portuale, secondo quanto accennato l’estate scorsa dallo stesso vescovo Crepaldi e ribadito chiaramente ieri dalla Curia, a prospettare questa opportunità, o comunque un’opportunità di questo tipo all’interno del Porto Vecchio alla Diocesi.
Il bando per le concessioni, seguito alla rinuncia all’intera operazione da parte della cordata Maltauro-De Eccher a causa soprattutto dell’opposizione della stessa Authority a spostare il Punto franco e a un avviso esplorativo che comunque aveva raccolto decine di adesioni, si era invece sostanzialmente rivelato un flop (ad eccezione dell’importante offerta arrivata da Fincantieri, ndr) dopo la decisione della presidente Marina Monassi di ridurre l’area a un fitto spezzatino di “unità minime”, rilevabili anche singolarmente.
Tra i pochissimi che avevano risposto, due enti guidati da persone particolarmente vicine a Monassi: la Diocesi appunto del vescovo Giampaolo Crepaldi e la Camera di commercio con a capo Antonio Paoletti che punta su due Magazzini per farne un Centro espositivo avversato però dalla Regione.
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