La Cgil condanna le stelle rosse in corteo

Belci e Sincovich: «Sbagliato agitare una bandiera che ricorda fratture dolorose». Il centrodestra rilancia: «Sdegno e orrore»
La bandiera "incriminata" esposta il primo maggio (Bruni)
La bandiera "incriminata" esposta il primo maggio (Bruni)

Non si placano le polemiche innescate dalla presenza di bandiere iugoslave e italiane con la stella rossa, nel corteo organizzato in occasione del Primo maggio da Cgil, Cisl e Uil. E proprio dalla Cgil è arrivata ieri una netta presa di distanza dalla provocazione compiuta dal gruppetto di manifestanti.

«Mentre una parte della città guarda avanti e si occupa di progettare la Trieste del futuro, un’altra rimane con lo sguardo rivolto alle spalle - affermano Franco Belci e Adriano Sincovich, rispettivamente segretari regionale e provinciale della Cgil -. È davvero incredibile che una manifestazione del Primo Maggio, in un momento così difficile, sia ricordata solo per l’esposizione di una bandiera della ex Iugoslavia, cioè di uno Stato che non esiste più. Sia chiaro: non è la prima volta che accade e già nel passato la Cgil ne prese le distanze, ritenendo quella scelta inopportuna e inutilmente provocatoria. Giudizio che conferma oggi. Il corteo del primo maggio non ha nulla a che vedere con la cosiddetta “liberazione” di Trieste, sulla quale si è da tempo innescata una discussione legata alla cronologia più che alla storia. Una "liberazione" che per la gran parte dei triestini non è stata tale e la Cgil ne è pienamente consapevole. Ognuno - concludono Belci e Sincovich - è libero di coltivare le proprie memorie, non ha importanza da quale parte stiano. Ma ognuno ha anche il dovere di rispettare le sofferenze degli altri. E una bandiera di uno Stato che non esiste più, frammentata in tante altre spesso contrapposte, agitata a ricordare fratture dolorose del passato in una Festa che unisce, dovrebbe trovarsi fuori dal corteo, dove ognuno può fare quello che vuole assumendosene le responsabilità politiche».

Primo maggio “jugoslavo”, polemiche dopo il corteo
La bandiera titina esposta durante il corteo

Alla voce dei due sindacalisti - che peraltro non risparmiano critiche nemmeno al centrodestra, di cui stigmatizzano la «reazione sguaiata e ipocrita» -, si è aggiunta nuovamente, ieri, quella di Roberto Cosolini. «La sinistra democratica triestina è a distanza siderale da certe sceneggiate - precisa il sindaco -. Le dolorose memorie di questa città meritano rispetto e non irresponsabili sfide».

Di tutt’altro tenore i commenti del centrodestra. Alessia Rosolen, di Un’altra Trieste, rivendica la primogenitura della proposta di «ricordare la data del 12 giugno 1945, che segnò la liberazione di Trieste dai titini che fu presentata dal nostro movimento due anni fa con una mozione approvata dal consiglio comunale». «Gli esponenti di Forza Italia, Everest Bertoli, e del Pdl, Lorenzo Giorgi – aggiunge – che si sono affrettati ad annunciare la presentazione di una nuova mozione in tal senso, dopo l’episodio di venerdì, arrivano in ampio ritardo». Sempre da Un’Altra Trieste, Francesco Clun, consigliere circoscrizionale, ribadisce che «sarà un bel Primo maggio quando lavoratori e sindacati isoleranno i provocatori che inneggiano agli assassini delle Foibe».

In casa Forza Italia, i consiglieri circoscrizionali Alberto Polacco e Roberto Dubs auspicano che «siano perseguiti gli autori di tutti gli atti di apologia dell'occupazione titina» e annunciano di valutare l’ipotesi di presentare un esposto all’autorità giudiziaria». Mentre Nicolò Fantin, coordinatore regionale dei Giovani azzurri, esprime «sdegno ed orrore per quanto accaduto a Trieste», e tira in ballo il precedente «del caso Furlanic,che vide buona parte della sinistra opporsi alla sfiducia».

Diversa la posizione del segretario provinciale di Rifondazione comunista, Peter Behrens: «Nessuno è autorizzato a dire chi non doveva esserci nel corteo. Non erano graditi fascisti, mentre chiunque ricordava la lotta contro il fascismo era il benvenuto. Invito perciò il sindaco a indirizzare altrove le sue considerazioni sui giapponesi e la giungla».

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