La “casa del diavolo” a San Vito tra leggende e massoneria

L’antica residenza dei Bazzoni, secondo una diceria popolare, è abitata dal Maligno Ma la sua storia è legata alle vicende della città nell’800 e alla Libera Muratoria
Di Giovanni Tomasin
Silvano Trieste 25/08/2016 Casa del Diavolo
Silvano Trieste 25/08/2016 Casa del Diavolo

GIOVANNI TOMASIN. Il diavolo fa le pentole ma non i coperchi, recita l’adagio popolare. E forse è per questo che a volte qualcuno riesce a fargliela sotto il naso, compiendo una buona azione proprio sotto il suo tetto. Questa è la storia della “casa del diavolo”, un curioso edificio sul colle di San Vito, legato in modo inatteso e a doppio filo alle vicende architettoniche e politiche di Trieste dal XIX secolo a oggi. Una storia in cui l’odor di zolfo vien trasmutato nel profumo di una fiaba. E in cui fa capolino pure un po’ di massoneria.

Trieste nascosta di Armando Halupca e Leone Veronese è praticamente una bibbia per chi si interessi dei lati più occulti della nostra città. Alla voce “casa del diavolo” leggiamo: «Il numero 4 di via Bazzoni contrassegna una bella villa costruita in stile neo-gotico verso la fine dell’800. Un tempo faceva parte del grande comprensorio del parco Bazzoni, ma con il ridimensionamento di quest’ultimo acquisì una propria autonomia costituendo un proprio parco privato». Ed ecco che arriva l’enigma: «La villa, probabilmente per il suo aspetto cupo e riservato, ha sempre goduto di “fama ambigua”, al punto di essere denominata “casa del diavolo”. Gli anziani del rione, suggestionati dalle fantasie più bizzarre, raccontano di rumori ed apparizioni strane, di figure bianche che di notte si affacciavano alle finestre della villa».

Lo conferma la sua attuale inquilina, Liria De Polzer. Poco dopo il trasloco, fu avvicinata da un vecchietto che le disse: «Ah, quindi la sta lei nela casa del diavolo, adesso!». Un’uscita che lasciò un tantino perplessa l’interlocutrice: «Devo dire che non capisco il motivo di questa nomea, anche se mi diverte molto», racconta De Polzer. Né lei né le sue figlie, di fatto, hanno mai avuto sentore di presenze soprannaturali tra le mura della vecchia villa: «Niente del genere! Anche se una storia interessante mi è stata raccontata - dice -. Un signore che ho incontrato in una libreria antiquaria del ghetto mi raccontò che, durante la Seconda guerra mondiale, l’uomo che viveva nella casa ospitò in gran segreto una donna ebrea, proteggendola dai nazisti. Così le salvò la vita». Ecco che la casa del diavolo, a sorpresa, diventa quella del buon samaritano. Pur cercando informazioni tra i negozianti del ghetto e chiedendo aiuto al museo ebraico triestino, non siamo riusciti a risalire all’identità dell’uomo che raccontò quella storia a De Polzer. Dobbiamo quindi custodirla così, in forma di racconto orale.

Tornando al diavolo, possiamo esser certi che nemmeno i primi proprietari della villa coltivassero interessi luciferini, visto che si tratta di parenti della stessa Liria De Polzer: «Il podestà di Trieste Riccardo Bazzoni era un mio antenato - racconta -. L’area è da sempre proprietà della famiglia». La “casa del diavolo” è infatti parte di un complesso il cui cuore sta al civico 2 della stessa via, una grande villa padronale commissionata dal patriarca Gracco Bazzoni all’architetto cividalese Giovan Battista De Puppi e realizzata nel 1837-38. Bazzoni era originario di Milano e contemporaneo dello scrittore omonimo, ma non imparentato, Giambattista Bazzoni (quest’ultimo autore curiosamente di un libro intitolato “La scommessa col diavolo”). Il figlio Riccardo fu podestà cittadino dal 1878 al 1890. Nel 1880 fu costruita la villa che a noi interessa, che serviva da foresteria a quella principale. «Forse è lo stile un po’ eccentrico dell’edificio ad aver fomentato le voci sul suo conto», riflette l’inquilina odierna.

Ed è proprio quello stile che lega nuovamente la casa alla più grande storia della città. Il suo autore fu infatti Ruggero Berlam, autore di alcuni tra i più conosciuti e splendidi edifici di Trieste, in primis il tempio israelitico di via San Francesco. Ma all’opera di questo eclettico architetto si devono anche villa Haggiconsta, la Scala dei Giganti e altre bellezze cittadine.

Ecco che, andando a cercare il pelo nell’uovo, l’esoterismo uscito dalla porta rientra dalla finestra. In fondo, com’ebbe a dire l’ex gran maestro del Grande Oriente d’Italia Gustavo Raffi, massoneria e architettura sono da sempre legate a doppio filo. Il padre di Ruggero, Giovanni Andrea Berlam, aveva studiato a Venezia nell’accademia diretta da Pietro Nobile, altro architetto che operò a Trieste. E la cui adesione alla massoneria è ben nota.

Considerata la rilevantissima produzione della famiglia Berlam (il figlio di Ruggero, Arduino, realizzò anche il Faro della Vittoria) in una città la cui architettura è imbevuta di simbologie massoniche, non è da escludere che la cultura delle logge abbia pervaso anche le loro opere. E quindi sì, almeno in questo senso, la villa di via Bazzoni 4 rientra in un affresco più ampio, trascendente: il volto di pietra di Trieste, che qualcuno ha definito un tempio massonico a cielo aperto.

La nostra storia potrebbe chiudersi così, ma vogliamo andare ancora una volta al diavolo. Come rilevato anche da Halupca e Veronesi, a San Vito ci sono diversi riferimenti a siti “diabolici”. Sul forum A Trieste troviamo la riproduzione di una mappa del catasto franceschino in cui la località “Casa del diavolo” è indicata in corrispondenza di villa Economo. Come si legge in Trieste nascosta, «nella zona sono state ben quattro le ville tacciate di “odor di zolfo”, due delle quali ormai da tempo scomparse». Va detto che nel dialetto cittadino “casa del diavolo” indica pure un posto fuori mano, ma da qualche parte sul colle un corno o uno zoccolo deve aver fatto capolino. Non resta che appellarsi a San Vito in persona, secondo l’agiografia un potente esorcista.

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