La cardiochirurgia rischia il taglio
Il direttore generale Zigrino: «In caso di chiusura io mi dimetto»
di Gabriella Ziani
di Gabriella Ziani
«Solo degli ignoranti possono sostenere la chiusura della Cardiochirurgia di Udine o di Trieste, che poi sarebbe certo quella di Trieste (figuriamoci se qualcuno va a toccare Udine), nonostante sia stata classificata al terzo posto in Italia dall’Istituto superiore di sanità e porti tanti pazienti da fuori provincia da mantenere economicamente l’intero ospedale: se questa stupida decisione fosse presa darei le mie immediate dimissioni, per nessuna paga sarei disposto a dirigere un ospedale ridotto ai livelli di quello di Gorizia».
Franco Zigrino, dalla plancia della direzione generale degli ospedali triestini, s’incendia di furore solo all’idea che passi la proposta affidata dalla Regione alla pagina 15 del pur ottimo «Libro verde sul futuro del sistema sociosanitario regionale», sul quale fino al 30 aprile tutti potranno esprimere osservazioni, suggerimenti, risposte o critiche. Una legiferazione partecipata in vista del piano sociosanitario valido per i prossimi tre anni.
Nella fitta e sapiente ricostruzione della realtà sanitaria regionale, nell’indicazione dei difetti e delle carenze in eccesso o in difetto, le 36 pagine hanno un nucleo pesante proprio lì dove indicano in un milione e mezzo di abitanti il bacino minimo per ogni realtà sanitaria di alta specializzazione: cardiochirurgia e cardiologia interventistica, neuroscienze, trapianti, riabilitazione di terzo livello, genetica, sistema di emergenza-urgenza, trasfusioni, malattie rare, grandi traumi, oncologia specialistica, laboratori ad alta complessità. Tutto ciò dovrebbe essere trasversale, con équipe che si spostano, superando «la concezione autarchica dell’ospedale e i meccanismi competitivi». Se può andar bene per gli ospedali piccoli, con troppo poca casistica, che dire di quelli grandi?
I conti si fanno subito: il Friuli Venezia Giulia ha un milione e 200 mila abitanti e due ospedali di eccellenza, a Trieste e a Udine, dove spiccano Cardiochirurgia e Neurochirurgia che dunque servono un bacino di 600 mila individui, quasi un terzo rispetto ai parametri. Si possono potare i due colossi, fra l’altro simbioticamente uniti con le rispettive facoltà di Medicina, esse pure da tempo in odore (o puzza, a seconda dei punti di vista) di fusione? E si possono dirottare su uno solo dei due tutti i gravi traumi della strada? E accettare ora il già rifiutato 118 unico al posto dei quattro provinciali?
Zigrino incalza: «Per la domanda che c’è, e la fuga fuori regione, paradossalmente ci vorrebbe una terza Cardiochirurgia, non un taglio. Vale anche per i traumi: se volessero trasportare a Udine il traumatizzato triestino delle tre di notte in via Carducci anziché all’attrezzatissimo sistema Cattinara-Maggiore, dove tra l’altro l’elisoccorso regionale deposita una quantità enorme di persone da tutto il Friuli Venezia Giulia, altrettanto darei le dimissioni, se qualcuno pensa che ’’tanto i triestini le ingoiano tutte’’, si sbaglia, anche se non ho più alcuna fiducia nei politici e penso che chiedono opinio
ni per poi buttarle nel cestino e fare ugualmente ciò che era già deciso». A questa esplicita dichiarazione di guerra come rispondono i politici della maggioranza regionale, posto che l’intenzione al più alto livello è stata già scritta e diffusa? Per Massimo Blasoni, responsabile sanità del Pdl regionale, «la decisione c’è, ma per ora è l’inizio di un processo, non dobbiamo guardare al campanile, ma all’eccellenza, bisogna chiedersi se Udine e Trieste devono continuare a fare le stesse cose, se non possono specializzarsi in modo diversificato, se in una così piccola regione e con la spesa che sale del 5% all’anno (non così le entrate) si giustificano due Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, il Cro e il Burlo Garofolo, e poi abbiamo un’Agenzia regionale per la sanità, una Direzione regionale, un Centro servizi condivisi per la parte commerciale. Qui è la domanda. La certezza è che il modello ’’un mozzo e una raggera’’ funziona». Cioé uno «hub» con degli «spoke» come dice il Libro verde, usando modelli aeroportuali. Un centro motore e tanti satelliti, detto in modo casalingo.
«L’intento è del tutto condivisibilie - così la mette il triestino Bruno Marini, consigliere regionale di Forza Italia-, ma ovviamente mi auguro che la Cardiochirurgia di Trieste non sia penalizzata, è di livello altissimo, in sinergia con l’ottima Cardiologia, c’è un polo cardiologico appena costruito, ci sono attrezzature, investimenti recenti: patrimonio da non disperdere».
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