La Canottieri Timavo festeggia i 100 anni e celebra il mitico “Miro” Bobig
TRIESTE «Arrivammo in treno da Milano, ci vennero a prendere alla stazione di Monfalcone e ci portarono in spalla fino in piazza (della Repubblica, ndr), dove erano previsti i festeggiamenti. Fu un grande onore». Poi, lacrime di commozione, ripensando a quello che rimane il ricordo più bello della sua vita, almeno di quella sportiva. Vladimiro “Miro” Bobig, classe 1920, 100 anni compiuti martedì scorso, dopo queste parole ha lasciato il microfono, prendendosi l’applauso più sentito nel corso della festa di compleanno che la Canottieri Timavo, alla presenza di tutte le maggiori autorità politiche e sportive cittadine, oltre che di tanti campioni del passato e del presente, sia del canottaggio che della canoa, ha organizzato in suo onore ieri mattina in via Agraria.
Anche la Canottieri, nel 2020, taglia l’importante del Centenario («Prometto che entro fine anno riusciremo ad organizzare un evento che celebri come si deve questo anniversario», ha detto il sindaco di Monfalcone Anna Cisint), ma ieri le attenzioni erano tutte per lui, il leggendario “Pomodoro”, campione d’Italia e d’Europa nel 1949 con il “quattro con” monfalconese composto, oltre che da lui, che di quell’equipaggio era il capovoga, anche da Mario Delise, Mario Tagliapietra, Renato Giurissa e dal timoniere Eugenio Suzzi. Proprio dopo il trionfo agli Europei di Amsterdam, il 28 agosto del 1949, il gruppo fu ricevuto con tutti gli onori dalla cittadinanza. “Sansegoto”, il soprannome di Giurissa, “Negro”, quello di Tagliapietra e appunto “Pomodoro”.
«Mi chiamavano così perché dopo ogni sforzo, allenamento o gara, ero rosso in faccia come un pomodoro – racconta Miro – in cantina ho ancora una scultura a forma di pomodoro che mi aveva costruito “Cordin” (Sergio Faccin, altra vecchia gloria della Timavo nell’immediato secondo Dopoguerra)». Un campionissimo, Bobig, che come tutti i compagni di squadra della sua età ha concentrato i suoi successi in poche stagioni, alla fine degli anni ’40.
«Fino a 18 anni non si potevano fare altre gare che non fossero quelle della Gil (Gioventù Italiana del Littorio, in epoca fascista, ndr) – continua Miro – e poi arrivò la guerra». Nel 1940 il campione monfalconese fu arruolato a Firenze, e tornò a casa solo il 30 aprile del 1946 quando gli inglesi, che lo avevano tenuto prigioniero in Algeria, lo rilasciarono. «Le bandiere rosse del Primo maggio restano impresse nella mia memoria come la prima immagine del ritorno, e volli subito tornare in acqua. A giugno avevo già ripreso le gare». Con lui, all’epoca, anche il fratello Lucillo, o meglio “Cilo alenador”, che era più vecchio di qualche anno, essendo nato nel 1913, e che fece carriera alla Timavo anche, appunto, in veste di allenatore, cosa che invece non era nelle corde di Miro, che fu esclusivamente atleta. «Una gloria del movimento sportivo regionale, fatto di persone umili e semplici, e lui ne è il più fulgido esempio», come ha sottolineato il presidente del Coni regionale Giorgio Brandolin prima di consegnargli a ricordo, una spilletta con il vecchio logo del Coni risalente agli anni ’70. Tra i tanti interventi quello di Giuseppe Abbagnale, simbolo dello sport italiano ora presidente della Federcanottaggio, che al telefono ha voluto fare gli auguri al campionissimo monfalconese e alla società. —
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