La caccia dei ristoranti al pesce “straniero”
Che lingua parla quel sardone? E quell’orata? Che dialetto declina il buon branzino? Da un paio di giorni, da quando è scoppiato lo scandalo del Mercato ittico dell’ex Gaslini, chiuso dall’Azienda sanitaria per eccesso di sporcizia e degrado, dopo un blitz dei Nas, sono queste le domande di molti clienti dei ristoranti triestini. Ristoranti generalmente non a secco di pesce, anche se in alcuni casi il piatto piange, bensì a secco di pesce del Golfo. «Un grosso problema» sintetizza il presidente della Fipe Bruno Vesnaver.
A fronte del blackout del mercato locale, che non dovrebbe durare più di una decina di giorni, stando alle rassicurazioni del Comune, è infatti scattata la caccia al pesce “foresto”. Da Grado a Marano, da Monfalcone alla Croazia, i ristoranti si arrabattano pregando nottetempo che pescherie e grossisti di fiducia portino in salvo un po’ di materia prima.
«Speriamo che la nostra pescheria di fiducia acquisti del pesce da fuori anche se sicuramente aumenteranno i prezzi - confidano, ad esempio, al Città di Cherso -. Di solito si rifornisce al mercato ittico ma ora si deve arrangiare in altro modo. Oggi (ieri, ndr) abbiamo trovato solo calamari, vongole e cozze. E quindi, per il momento, offriamo sicuri antipasti e primi». Ieri sera, al Città di Cherso, c’erano già diversi tavoli prenotati: «Quindi sappiamo già che le provviste di mercoledì andranno tutte terminate». C’è anche un “piano b”: il supermercato. Di necessità virtù? Pare proprio di sì. E c’è pure un “piano c”: i prodotti surgelati o congelati. «Di solito acquistiamo sempre scampi e gamberi già congelati che provengono dalla Croazia e dal mare del Nord». Gamberetti e calamari, almeno per un po’, finché il Mercato non riapre e i sardoni barcolani latitano, potrebbero farla ancor più da padroni sulle tavole. Chissà cosa direbbero Cracco, Bastianich e Barbieri. Un consiglio da superchef in questi momenti di panico sarebbe molto gradito perché le casse, oltre che i piatti, rischiano di piangere un po’. «Ma la sincerità di sempre ci ripagherà e quindi - concludono al Città di Cherso - la gente verrà comunque».
Giovanni Crestanello, proprietario del “Local” sulle Rive, è un po’ dubbioso sui rifornimenti per il weekend. I sardoni sono il vero problema: «Se domani (oggi, ndr) si troveranno, verranno proposti a prezzi folli. Per una settimana possiamo anche resistere, il problema a breve termine non c’è, ma poi?». Poi, risponde subito dopo, «ci si butterà sulla carne» o magari si inventeranno ricette originali come «filetto di orata con crumble e olive o polipo in umido».
In un ristorante di pesce “storico” come “Al Granzo” ci si arrangia, e bene, con la pasta fatta in casa e il riso. «Oggi - afferma Walter Bassanese - ce l’abbiamo fatta con i frutti di mare e con i granchietti piccoli pescati nel Mediterraneo. Insomma con quello che c’era sul bancone». Il titolare della “Piazzetta” confida intanto che la prima pescheria in cui è andato non aveva nulla. Viaggio a vuoto.
In casa del salernitano Carmine Maiellaro, proprietario di “Al Bragozzo”, tira tutt’altra aria: «Nessun tipo di problema» afferma ricordando che il pesce non proviene tutto da Trieste. Sulle Rive, a non molta distanza, l’Antico Nuovo Pavone dà man forte: il fornitore di quel ristorante ha l’occhio lungo, perché non si procura il pesce solo a Trieste, ma anche a Grado, a Caorle, a Monfalcone e in Istria. «Oggi (ieri, ndr) non è mancato nulla. Avevamo sgombri, alici, branzini, orate» dice il titolare Sergio Jugovaz benedicendo al contempo la Sicilia che assicura «il pesce spada e il tonno che vanno molto d’estate».
A tirare le somme, come ristoratore e soprattutto presidente della Fipe, Vesnaver: «Certo, il pesce nei locali c’è. Ma proviene da fuori. E questo è un grosso problema. Un danno. Prima di chiudere il Mercato ittico bisognava pensarci cento volte. I problemi esistono, sono evidenti, ma bisognava mediare e io ho dei dubbi che la situazione si risolva in tempi brevi».
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