La Bosnia minaccia vie legali: «Lasciati a secco di vaccini»
Polemiche, batti e ribatti, rabbia crescente. Rischia di trasformarsi in una vera battaglia tra governi e colossi farmaceutici la corsa ai vaccini nei Balcani. Battaglia che si sta già combattendo in Bosnia-Erzegovina: è questo uno dei Paesi extra-Ue della regione che dipendono dal sistema Covax, il meccanismo globale che dovrebbe far affluire dosi alle nazioni economicamente meno avanzate ma che ancora stenta a decollare, lasciando a secco Sarajevo e non solo. Secondo il contenuto di una lettera riservata, finita però in mano ai media locali, che il Covax ha inviato al ministro bosniaco degli Affari civili, i ritardi però sarebbero da imputare solo alle autorità bosniache. Nella missiva, il Covax ha ricordato che oltre 23mila dosi di Pfizer-Biontech sarebbero pronte per la consegna alla Bosnia, ma quest’ultima non avrebbe soddisfatto alcune precondizioni fondamentali. In particolare, Sarajevo non avrebbe garantito la catena del “super-freddo” necessaria allo stoccaggio dello Pfizer, e inoltre si sarebbero verificati intoppi anche su alcuni obblighi amministrativi e legali. Dopo «diversi contatti» con Pfizer «nelle scorse settimane, ci spiace informarvi che la consegna delle prime dosi, prevista nel primo trimestre dell’anno, sarà ritardata» finché i problemi, attribuibili alla Bosnia, non saranno risolti, ha annunciato il Covax.
La lettera ha provocato un terremoto a Sarajevo, coagulando in un moto di rabbia leader politici di tutte le etnie e di ogni schieramento. Sarajevo così ha respinto al mittente le accuse di inazione. I frigoriferi sono pronti e «abbiamo pagato per 1,2 milioni di dosi, siamo più che pronti per i vaccini», ha replicato il ministero degli Interni. «Tutte le azioni» richieste a Sarajevo «sono state compiute», ha confermato anche la ministra degli Esteri, Bisera Turkovic. La parte bosniaca ha fatto tutto quanto era stato richiesto e dunque «possiamo ricevere i vaccini» Pfizer via Covax, farmaci anti Covid che «hanno i requisiti più stringenti per lo stoccaggio», ha ribadito il premier bosniaco, Zoran Tegeltija. La verità sarebbe invece un’altra: «Pfizer vuole prendere tempo per rivendere i vaccini» che spetterebbero alla Bosnia, il durissimo j’accuse di Tegeltija, che si è spinto a parlare di «ricatto» da parte del colosso Usa.
Ancora più drastico, se possibile, l’atteggiamento del membro serbo della presidenza tripartita bosniaca, Milorad Dodik, che ha anticipato che la Bosnia potrebbe fare causa a Covax se i vaccini non arriveranno immediatamente all’aeroporto di Sarajevo. Pfizer a sua volta ha replicato spiegando che le intese con Covax non coprirebbero parte del contratto tra Sarajevo e l’azienda, ha riportato la stampa di Sarajevo.
I problemi bosniaci non sono isolati. Anche in Macedonia del Nord, Montenegro, Albania, Kosovo - tutti Paesi che continuano a rimanere a secco dei vaccini attesi via Covax - cresce il disappunto per l’inefficacia del meccanismo e ci si muove con sempre maggior energia per approvvigionarsi degli antidoti per altre vie, seguendo l’esempio della Serbia, che ha donato proprie dosi a Skopje e Sarajevo.
E pure chi è già nella Ue, come la Bulgaria, ribolle. «AstraZeneca non rispetta l'agenda per le forniture del vaccino e in questo modo danneggia la campagna di vaccinazione nel nostro Paese», ha scritto al colosso farmaceutico il governo di Sofia, protestando contro i ritardi nelle consegne. Un comportamento scorretto che «mina la fiducia di salvarsi dalla pandemia in milioni di bulgari». E non solo.—
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