La banda del Bordeaux colpisce almeno 4 locali a Trieste

Gli esercenti si sono visti consegnare presunte bottiglie pregiate da un finto grossista su richiesta di una cliente poi svanita nel nulla

TRIESTE “Chateau Fonfroide”. Si chiama così il vino francese utilizzato nei giorni scorsi dalla banda di truffatori che ha fatto la sua comparsa a Trieste per mettere in scena il raggiro del bordeaux, che in questi anni ha mietuto vittime in quasi tutto il Nord Italia. A leggere l’etichetta viene da domandarsi se la denominazione delle bottiglie sia casuale: l’assonanza dello “Chateau Fonfroide” con la parola “frode” sembra infatti qualcosa di più che una coincidenza, anche se tale constatazione difficilmente avrà strappato un sorriso agli esercenti caduti in trappola. Se così fosse, i maramaldi dimostrerebbero gran senso dell’umorismo, oltre che notevole inventiva.

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Bumbaca Gorizia 05.04.2018 Polizia conf stampa su truffe falsi avvocati © Fotografia di Pierluigi Bumbaca


Fra martedì e mercoledì sono stati almeno quattro gli esercenti triestini finiti nella trappola che dal 2015 sta facendo vittime a ripetizione dal Piemonte al Veneto. Da quanto emerso finora, risultano colpite realtà storiche come la Voliga e il Menarosti, associate Fipe, più altri locali per ora rimasti anonimi, ma le attività prese di mira potrebbero essere anche di più, anche in altre province della regione. Alcuni ristoratori si sono anche rivolti ai carabinieri. La dinamica dell’inganno è consolidata e, salvo piccole varianti per adattarsi alla situazione, si ripete identica. Una prenotazione apparentemente normale in un certo locale. La capacità di guadagnare la fiducia del gestore grazie a uno schema studiato. Un’insolita richiesta, avanzata tuttavia in modo così suadente, da far finire il malcapitato nella trappola e scucirgli qualche centinaio di euro prima di sparire nel nulla.

Martedì scorso alcuni ristoratori rispondono al telefono come fatto mille altre volte e sentono dall’altra parte una voce di donna. «Buongiorno, sono la signora Dossi. Vorrei prenotare un tavolo per dieci per giovedì sera, perché c’è il compleanno di mio padre». L’interlocutrice lascia anche il numero di cellulare e poi, almeno in un caso, giocando sulle tante facce che un esercente vede ogni giorno tra pranzi e cene, cerca di vincerne la fiducia: «Ha presente chi sono vero? Veniamo spesso».

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Il ristoratore è gentile per mestiere e finge di riconoscere la signora, che fornisce qualche elemento generico e si inventa il nome di qualche presunto comune conoscente che frequenta il posto: informazioni cui l’esercente nemmeno bada ma che sono sufficientemente credibili per accreditarsi come una avventrice già passata a cena altre volte e abbassare così le difese all’altro capo del telefono.

Quanto basta per rompere il ghiaccio e preparare il terreno per la zampata. Mercoledì mattina la signora richiama e offre due versioni diverse per arrivare alla vendita del bordeaux farlocco. Al ristorante di carne dice che il padre è particolarmente ghiotto del vino rosso di una ben precisa etichetta e sarebbe una bella sorpresa farglielo trovare a cena. A quello di pesce che vorrebbe approfittare dell’occasione per regalare al padre una cassa di preziose bottiglie che l’anziano genitore ha sorseggiato di recente a una fiera di vini. In entrambi i casi spiega che il rosso francese in questione è di pregio tale che il rappresentante che lo tratta in zona non è disponibile a venderlo a privati ma opera solo attraverso locali di una certa fama. La presunta Dossi a quel punto lancia il suo amo: «Non sarebbe così gentile da farmi il favore di contattare il grossista e comprare il vino al mio posto? Ne prenderei sei bottiglie, che dovrebbero costare fra gli 80 e i 100 euro. Le mando subito il numero del rappresentante via sms». I ristoratori non sospettano granché, perché nel giro ci sono etichette distribuite in pochi esemplari e riservate dunque solo a certi tipi di attività.

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Complici la gentilezza della donna, le non rare richieste da parte di clienti intenditori che vogliono bere vini ben precisi e l’idea del ricarico ingente che si può applicare su bottiglie di quel genere nel caso vengano servite a tavola, l’esercente si mette a disposizione. E qui il plagio si fa completo. Il finto distributore si fa trovare subito ma si finge sorpreso e risponde di essere in difficoltà a fornire la cassa con così scarso preavviso. Al ristoratore non resta che richiamare la signora e dirsi desolato per l’impossibilità di venirle incontro, sentendo dall’altra parte la tristezza della cliente. Sembrerebbe tutto finito, ma il colpo di scena è da maestri. In piena ora di pranzo, con i tavoli imbanditi e la cucina che lavora a pieno ritmo, il finto rappresentante telefona nuovamente nel locale e dice di essere riuscito a trovare le bottiglie ma di aver modo di consegnarle soltanto entro poco tempo attraverso un proprio collaboratore. Il gestore chiama la finta Dossi e l’avvisa, sentendosi dire che sarebbe passata in giornata per rifondere la spesa. La trappola è pronta a scattare: il presunto importatore manda un giovanotto con le bottiglie e l’esercente in un caso ne ritira una cassa, pagandola 480 euro sull’unghia, e in un altro due per 580. In piena ora di punta nemmeno fa in tempo a controllare il contenuto. In qualche caso ritira anche una finta fattura, in qualche altro prende la merce dopo essersi fatto assicurare che la nota sarebbe stata inviata nei giorni a seguire.

Il gioco è fatto. I truffatori spariscono nel nulla e i numeri di telefono smettono di funzionare. Nella cassa c’è in effetti del bordeaux: uno Chateau Fonfroide del 2015, il cui valore commerciale è meno di 50 euro a cassa. Un vino da supermercato. La cena per dieci era fissata per giovedì, ma ovviamente non si è presentato nessuno.

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