La bacchettata della Merkel: confini balcanici inviolabili

La Cancelliera «preoccupata e irritata» dalle voci su uno scambio di territori fra Belgrado e Pristina. Germania sempre più a guardia della stabilità dell’area
epa06947690 German Chancellor Angela Merkel walks past a line of soldiers (R) ahead of the arrival of Denis Zvizdic, President of the Council of Ministers of Bosnia and Herzegovina, at the Chancellery in Berlin, Germany, 13 August 2018. The two leaders met on the day to discuss bilateral ties. EPA/FELIPE TRUEBA
epa06947690 German Chancellor Angela Merkel walks past a line of soldiers (R) ahead of the arrival of Denis Zvizdic, President of the Council of Ministers of Bosnia and Herzegovina, at the Chancellery in Berlin, Germany, 13 August 2018. The two leaders met on the day to discuss bilateral ties. EPA/FELIPE TRUEBA

BELGRADO Due frasi lapidarie. Ma basta poco, per la leader del Paese più influente in Europa, per chiudere forse per sempre le porte a un’idea potenzialmente pericolosa, che preoccupa tanti. Leader che risponde al nome di Angela Merkel, intervenuta sul tema caldo dell’estate balcanica, quello di una ipotetica soluzione dei rapporti tra Belgrado e Pristina attraverso la spartizione del Kosovo – con il nord a maggioranza serba a Belgrado – e magari con “contentino” al Kosovo con la cessione di alcune aree a maggioranza albanese, oggi parte del sud della Serbia. Spartizione e modifica di confini che non deve esserci e non ci sarà, ha però chiuso le porte Merkel, affiancata da Denis Zvizdic, premier di una Bosnia-Erzegovina che guarda con apprensione all’evoluzione della questione nel vicino Kosovo e alle sue possibili ripercussioni e reazioni a catena in particolare sulla Republika Srpska, l’entità politica dei serbo-bosniaci, dove le pulsioni secessionistiche non si sono mai del tutto placate.

«L’integrità territoriale degli Stati dei Balcani occidentali», ha detto però Merkel, è «stata definita ed è inviolabile». Si tratta di un concetto, ha aggiunto la Cancelliera, che non è scontato. E che va «ripetuto ancora e ancora, perché ancora e ancora ci sono tentativi finalizzati a confini» da mutare. Ma «non possiamo farlo», ha chiosato con forza Merkel. Un riferimento implicito, quest’ultimo, in particolare alle dichiarazioni della settimana scorsa del presidente serbo, Aleksandar Vucic, che ha aperto – così è stato interpretato nella regione e oltre – a una “demarcazione” chiara tra serbi e albanesi in Kosovo. Vucic – molto vicino a Merkel – che ha ieri reagito piccato alla posizione contraria della Cancelliera, affine a quella di molti analisti e locali Ong. «Ha detto no a cambiamenti di frontiere, ma ci ha frazionato» con il riconoscimento dell’indipendenza unilaterale di Pristina, l'accusa di Vucic.

Le parole di Merkel però non erano dirette solo a Vucic, ma anche al suo omologo kosovaro, Hashim Thaci, che lunedì ha ancora una volta esercitato pressioni per altri «aggiustamenti confinari». Quelli che dovrebbero portare «Presevo, Bujanovac e Medvedja», oggi in Serbia, a «unirsi al Kosovo». Thaci che ieri ha detto di apprezzare le parole di Merkel, ma poi ha fatto marcia indietro suggerendo di voler comunque «correggere» i confini con la Serbia, per evitare una «Republika Srpska» in Kosovo. Rimane da vedere ora che effetto concreto avranno le parole di Merkel, che stridono con il silenzio di un’altra grande potenza, gli Usa. Come ha ricordato ieri il giornalista ed esperto di Balcani Tim Judah, l’amministrazione Trump sembra infatti andare controcorrente e «incoraggiare Vucic e Thaci a discutere» l’idea della spartizione. «Chi ascolteranno» i due, Berlino o Washington, si è chiesto Judah su Twitter.

Apparentemente fuori dalla discussione la Commissione europea, che ha ieri ribadito di attendersi una soluzione «sostenibile» e rispettosa del «diritto internazionale». Chi invece continua a gridare con forza il suo no ai piani di spartizione è l’egumeno del monastero di Decani, Sava Janjic. Che ha sottolineato che «l’accettazione di un accordo sulla separazione su base etnica tra serbi e albanesi» e una «divisione del territorio» rischiano di dare origine a un nuovo «esodo» di migliaia di serbi dalla parte del Kosovo oltre l’Ibar. E l’Europa a valicare la linea rossa del riconoscimento della «pulizia etnica come soluzione legittima» per la costruzione di nuovi Stati. —
 

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