Kounellis dice sì a Cosolini anche per il Salone degli Incanti
La ex Pescheria detta Salone degli incanti è un posto non solo molto affascinante, ma è un luogo adatto. Era affascinante anche il Magazzino 26 in Porto vecchio, naturalmente, pur nella sua sostanziale diversità architettonica e spaziale. Jannis Kounellis, il 77.enne artista di origine greca che vive a Roma, e che da 50 anni elabora la sua personalissima tenzone con l’arte materica e “povera”, ieri ha detto definitivamente sì a Trieste. Ed è subito ripartito, con destinazione Umbria, dopo il sopralluogo con il sindaco Roberto Cosolini e l’assessore alla cultura Franco Miracco che attendevano la decisione finale dell’artista, al quale inizialmente era stata proposta l’altra più imponente sede.
La visita era “prenotata” da tempo, ed è la seconda dopo quella dell’altr’anno, quando le prospettive erano molto diverse. Nel breve volgere di qualche mese una parte di panorama si è ribaltata e naturalmente in peggio, e il Magazzino 26 “battezzato” con la Biennale diffusa è sparito dall’uso di mondo, tornato a essere “off limits” perché i concessionari di Porto vecchio hanno abbandonato presenza e progetto. Kounellis è rimasto con una promessa e un invito, ma senza il contenitore concordato e già approvato. «L’artista aveva messo come condizione il fatto di appassionarsi al luogo per confermare l’esposizione - dice Cosolini, che ieri ha festeggiato il suo compleanno a tavola proprio con il grande artista -, e le cose sono andate molto bene, il Salone degli incanti è piaciuto. Quel che per ora sappiamo è che intende presentare un’opera strettamente legata a Trieste, i dettagli si sapranno nei prossimi giorni, comincerà a lavorare coi suoi collaboratori non appena rientrato a Roma. Venti giorni prima dell’apertura sarà a Trieste per l’allestimento».
La data di apertura non è stata fissata, ma è confermato che sarà dalle parti di settembre.
Kounellis è nato nel 1936 al Pireo, a 20 anni arriva a Roma per studiare all’Accademia di belle arti e rimane in Italia. Comincia a esporre nel 1960, il suo linguaggio di rottura trova sintonia con l’Arte povera di cui è sostenitore il critico Germano Celant e si muove alla ricerca di una nuova idea sul senso dell’arte: non rappresentare, ma essere. Dunque non pittura ma oggetti. Con alcuni eventi che fanno clamore: vasche riempite di terra e piante grasse, acquari e pappagalli, nel 1969 “Cavalli”, veri cavalli viventi agganciati alla corda come quadri. Di seguito, la porta di accesso allo spazio espositivo murata con pietre: polemica fra natura e cultura. Fino alle grandi installazioni riassuntive. Fra cui il labirinto di lamiere di ferro con le quali nel 2002 ha invaso la Galleria nazionale di arte moderna di Roma, appendendovi come citazioni i sacchi di iuta, i mucchi di pietre. Opera nata lì, e irriproducibile. Vedremo che cosa suggerirà il Salone degli incanti, la luminosa ex Pescheria con dimensioni da cattedrale.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Il Piccolo