Kosovo, cresce la tensione altri attacchi contro i serbi
BELGRADO Il Kosovo è sempre più fonte di tensione, per fatti di grande portata e per altri solo all’apparenza minori. Dopo lo stallo del dialogo a spinta Ue a Bruxelles e il caso Thaci a Gazivode, a tenere banco è ora il destino dei serbi che vivono oltre il fiume Ibar, nelle enclave grandi o piccole disperse a sud di Mitrovica. Moltissimi sono ex sfollati, anziani “returnees”, tornati a vivere in Kosovo spesso solo per morire nei loro villaggi ricostruiti dopo la guerra. Sono state proprio le modeste abitazioni di una quindicina di loro a essere state attaccate da ignoti nella notte tra lunedì e martedì nel villaggio di Grabac, non distante da Klina.
Difficile la stima dei danni materiali, feriti non ci sono stati, anche perché nel paesino, a vivere, sono rimaste solo un pugno di ultraottantenni serbe. Ma l’incidente ha intimorito ulteriormente la minoranza, negli ultimi mesi sempre più spesso obiettivo di atti di vandalismo, di furti – frequentemente di macchinari agricoli, fondamentali per la sopravvivenza delle piccole comunità – e di assalti vari. La lista si allunga in modo preoccupante, dall’incendio del fienile a devastazioni a danno di un posto di primo soccorso presso Prizren e in altri luoghi, passando per le sassate contro chiese e scuole e l’incendio di piccoli magazzini, i furti di bestiame, per finire con le aggressioni a ex sfollati.
L’ultimo episodio, quello di Grabac, ha fatto inalberare Belgrado, già con i nervi saltati dopo il caso Gazivode. Belgrado che ha parlato apertamente di «campagna intimidatoria» contro i serbi del Kosovo. Campagna, ha attaccato l’Ufficio governativo serbo per il Kosovo, che «va avanti da settimane» e che «condanniamo nel modo più fermo». La Serbia, è trapelato, ha chiesto l'intervento delle organizzazioni internazionali ancora presenti in Kosovo – la missione Nato, Osce e Ue – e ha ammonito «che non permetterà più i sistematici attacchi ai diritti umani e alla sicurezza» dei serbi rimasti o rientrati in Kosovo. Minoranza che, dopo anni di emarginazione nelle enclave – in particolare quelle più piccole e meno protette, ma anche in quelle più grandi, come Gracanica – sembra ormai averne abbastanza di vivere sotto assedio. Lo ha suggerito uno studio reso noto dall’Istituto per la promozione delle relazioni interetniche (Iamn), condotto nelle enclavi di Gracanica, Novo Brdo, Strpce, Klokot, Partes e Ranilug. Località in cui una media altissima di serbi, intorno al 90%, sarebbero oggi propensi a vendere casa e terra, il primo passo verso l’esodo. Percentuale che sale addirittura al 92% a Novo Brdo.
E a Gracanica, la più grande isola etnica a una ventina di chilometri da Pristina, sono addirittura il 95%, quelli che vorrebbero lasciarsi tutto alle spalle – inclusi gli attacchi e gli incidenti – andandosene. Non stanno meglio i 200mila sfollati serbi del Kosovo che ancora oggi vivono in Serbia. Un nuovo studio del Commissariato serbo per i rifugiati, reso pubblico lunedì, ha rivelato infatti che 68.500 sono socialmente vulnerabili. Del totale, un terzo è disoccupato, mentre il 75% delle famiglie vive con meno di 300 euro al mese. Ma anche se pure in patria non si sta bene, solo il 7% ha in progetto di tornare a casa, giù nel Kosovo. —
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