Killer a casa, sdegnati i parenti delle vittime della Gvt
TRIESTE È un giorno difficile da digerire per le famiglie delle vittime. Non riescono a capire come sia possibile che Josif Jitaru Celestin, il trentatreenne rumeno che la notte tra il 19 e il 20 giugno aveva ucciso Luca Sussich e Valentina Gherlanz dopo una folle corsa contromano in superstrada, possa uscire dal carcere. Il rumeno guidava la sua Golf completamente ubriaco, con una quantità di alcol vicina al coma etilico, come è stato accertato. Si è schiantato su una Nissan sulla quale viaggiavano i due giovani assieme ad altri amici.
I genitori di Luca e di Valentina faticano a trovare le parole per descrivere ciò che provano nel loro intimo. Non è rabbia, non è rancore. Tanto meno sete di “vendetta”. Chiedono solo giustizia, come farebbe chiunque. «Noi abbiamo il nostro dolore», dicono entrambi. «Nessuno ci riporterà indietro i nostri figli». Pongono una questione morale, che ha più a che fare con il buon senso che con i cavilli giudiziari di cui si discute in tribunale. Come riferito ieri dal Piccolo, il collegio del Riesame, presieduto da Filippo Gulotta e composto da Enzo Truncellito e Marco Casavecchia, ha accolto l’istanza del difensore, l’avvocato Andrea Cavazzini.
L’organismo ha revocato il provvedimento di custodia cautelare in carcere del gip Guido Patriarchi emesso su richiesta del pm Lucia Baldovin, titolare del fascicolo. Per l’omicida si è dunque aperta la strada degli arresti domiciliari. I motivi? Josif Jitaru Celestin è incensurato; in quanto tale, si legge nelle carte, è a tutti gli effetti una persona «per la prima volta caduta nel delitto e neppure in grado in questo momento di muoversi adeguatamente» a causa delle ferite riportate nell’impatto. «Cosicché - aggiunge il documento - non esiste valida ragione per ritenere che egli non rispetterebbe in assoluto il regime proprio della misura cautelare domestica».
I giudici, comunque, evidenziano «l’estrema gravità della condotta posta in essere». Sufficiente per convincere la famiglie? Non pare. Giorgio Gherlanz, il padre di Valentina, allarga le braccia. «Non so cosa dire, sentire una cosa del genere non aiuta. Ho perso una figlia - commenta - che per me vuol dire aver perso parte della mia vita, come papà e come essere umano. È questa la nostra giustizia?», incalza il genitore.
«Sembra che la legge venga fatta e interpretata a seconda delle necessità e dei momenti. Dobbiamo accettare il fatto, ma la delusione è forte - aggiunge il signor Giorgio - e credo che ogni parola, a parte lo sfogo personale, sia inutile. Purtroppo in Italia è così, peggio fai, meno galera prendi». Gherlanz, consapevole di trovarsi davanti a un crimine, è sconfortato. «Quello là era ubriaco, deve pagare il suo conto con la giustizia perché un omicida. Ci rendiamo conto?».
Anche Matteo Sussich, padre di Luca, cerca di non farsi prendere dallo scoraggiamento. Ma non si aspetta molto dalle battaglie in tribunale. «Non sarà un magistrato a portarmi indietro mio figlio - osserva - non cambia nulla. Che sia in carcere o fuori non mi tocca più di tanto. Come ho già detto all’inizio la questione non è personale, ma sociale. Ciò che ha commesso quella persona, così come tutti coloro che si mettono alla guida ubriachi, riguarda la collettività. Il caso ha voluto che fosse mio figlio, ma poteva assolutamente essere chiunque lì, in quel momento, in superstrada».
Matteo Sussich, naturalmente, non ne fa una questione etnica, legata alla nazionalità del colpevole. «Non c’entra niente: su quella Golf, ubriaco, poteva esserci un italiano. Non voglio però entrare in questioni giudiziarie, perché non è il mio compito. Io ho il mio dolore, ora è la società che deve decidere quali sono i provvedimenti da prendere - riflette - è la società, non la famiglia che ha subito il lutto, a porsi l’interrogativo su come ci si deve comportare nei confronti dei soggetti pericolosi per la cittadinanza. A noi - chiosa il papà di Luca - non resta che confidare nella giustizia. E sperare che cose del genere non succedano».
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