Jurassic Park a Duino tesoro da riscoprire

Nel sito paleontologico del Villaggio del Pescatore dove è stato estratto “Antonio” ci sono ancora almeno 11 dinosauri in attesa di rivedere la luce
Di Pietro Spirito

DUINO AURISINA. Fossimo in un altro Paese a quest’ora il Villaggio del Pescatore sarebbe una specie di Jurassic Park visitato ogni anno da migliaia di persone provenienti da ogni dove. Un posto unico in Europa dove a un giacimento fossilifero straordinario sarebbe abbinato un centro visite unico del suo genere. Perché tra la molte potenzialità non sfruttate del territorio provinciale triestino c’è anche questa: un giacimento composto da un corpo di laminiti millimetriche carbonatiche incluse in calcari di piattaforma e ricchissimo di fossili, compresi alcuni dinosauri. Undici individuati finora, tutti adrosauri, i dinosauri con il becco ad anatra caratteristici del Cretaico superiore. Il giacimento è qualcosa di unico, una specie di fotografia impressa nella roccia di com’era quell’angolo di Carso fra 80 e 70 milioni di anni fa. Come si disse sin dalla sua scoperta, alla fine degli anni Ottanta, Antonio è solo il primo adrosauro estratto dalla roccia del Villaggio del Pescatore. Ce ne sono almeno altri due potenzialmente interi, uno dei quali già battezzato “Bruno”. In più, nel giacimento, ci sono evidenze di una zampa di dinoasuro carnivoro, due coccodrilli, l’ala di un rettile volante, una quantità di resti di pesci e crostacei, gamberetti, vegetali e chissà cos’altro ancora.

Accanto alla vecchia cava del Villaggio, le deformazioni delle laminiti del giacimento - cioè gli strati in cui le lamine sono parallele le une sulle altre - sono evidenti, messe quasi in verticale. È come una fetta di torta ribaltata e farcita con i dinosauri di un’era lontanissima. La “fetta”, o per meglio dire la “lente” di calcare, è lunga 75 metri con uno spessore compreso tra 15 e 20 metri. Come mai tanti fossili così preziosi si trovano tutti insieme in un pezzo di roccia relativamente piccolo? Perché lì probabilmente c’era una zona di mare basso, o di palude, in cui si alternavano ambienti prima ricchi di ossigeno e poi anossici, premesse ideali per la fossilizzazione dei numerosi resti animali e vegetali: rapida sepoltura da parte dei sedimenti, poco movimento d’acqua, scarsità di ossigeno. Le condizioni eccezionali di conservazione dei resti di Antonio dimostrano anche che, dopo la morte, i dinosauri stessi subirono minimi trasporti dalle terre emerse che con ogni probabilità dovevano circondare questa specie di stagno ridossato e protetto. Significa che i grandi rettili rimasero lì dov’erano, nella stessa posizione in cui li possiamo vedere oggi. Insomma è un deposito paleontologico ricco e promettente, quello del Villaggio del Pescatore, capace di spalancare una finestra sul tempo profondo, quando al posto del Carso c’era un ambiente umido costiero simile a un foresta tropicale.

Perché allora il giacimento - una delle più importanti scoperte della paleontologia italiana del Ventesimo secolo - in tutti questi anni non è stato sufficientemente sfruttato, anche come attrazione turistica? Certo il deposito presuppone uno scavo tutt’altro che facile, e dispendioso: per estrarre i fossili dalla roccia serve il filo diamantato, indispensabile per tagliare i blocchi di pietra che in seguito vengono sottoposti a una preparazione chimica tutt’altro che semplice. Eppure esiste già un progetto esecutivo - realizzato quattordici anni fa - che prevede un’opzione di scavo a lungo termine e in parte aperto al pubblico, per coniugare necessità scientifiche e sfruttamento turistico dell’area. «Ma la questione preliminare è decidere se è meglio puntare esclusivamente sul turismo culturale e migliorare ciò che già c’è, oppure se scegliere l’opzione dello scavo scientifico, o ancora meglio il progetto misto di scavo e valorizzazione turistica», dice Flavio Bacchia della cooperativa Gemina, che oggi gestisce le visite turistiche sul giacimento. Fu proprio Flavio Bacchia a estrarre Antonio dalla roccia, utilizzando, allora, tecniche di scavo assolutamente innovative. «La fruizione turistica - spiega ancora Bacchia - compete solo al proprietario, mentre lo scavo scientifico prevede la discesa in campo di tutta una serie di enti pubblici, dalla Soprintendenza (i fossili sono proprietà dello Stato) agli enti locali ecc., che devono essere in grado di decidere e agire di concerto». Eventualità di solito più complessa e difficile da realizzare dello scavo stesso.

A più di vent’anni dalla scoperta del giacimento, e a tredici anni dall’estrazione del dinosauro Antonio - il dinosauro più grande e completo mai rinvenuto in Europa -, oggi Bacchia, in accordo con il proprietario della cava, ha riaperto al pubblico il sito paleontologico del Villaggio. Con risultati che fanno riflettere: la scorsa stagione solo nei week-end estivi ha totalizzato tremila visitatori nelle aperture serali, mentre adesso registra una media di cinquanta visitatori ogni domenica mattina. E tutti i paleontologi di fama che passano per il Villaggio fanno salti di gioia quando vedono cos’hanno sotto i piedi, e chiedono per quanto ancora quel tesoro dovrà restare là sotto.

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