Jugoslavia terra di spie E la Cia previde la fine
TRIESTE. Jugoslavia terra di 007 dove tutti spiavano tutti: un segreto di pulcinella che ora emerge grazie alla pubblicazione di alcuni dossier finora tenuti all’ombra di nascosti cassetti. La Jugoslavia è stata a lungo tempo terra fertile per le spie e i servizi di intelligence di tutto il mondo. Quella che fu la creatura di Tito rappresentò infatti, una sorta di “zona franca” tra i due blocchi, quello occidentale e quello dell’Est vista la posizione tra i Non allineati assunta da Belgrado e soprattutto dopo lo strappo con il Cominform da parte del maresciallo Tito.
La Cortina di ferro che correva lungo il confine italo-jugoslavo da Tarvisio a Trieste più che da filo spinato era costituita da deboli corde mal tese. In Jugoslavia e dalla Jugoslavia si poteva sapere molto di quello che accadeva anche più a Est. Tra i servizi di intelligence più attivi storicamente bisogna segnalare la Cia americana. In un suo rapporto proveniente dalla Jugoslavia e datato 1984 si legge chiaramente che, secondo i rapporti raccolti dagli 007 sparsi sul territorio della Federativa, il Paese sarebbe imploso entro la fine degli anni Ottanta. Previsione rispettata appieno. Attenti osservatori della realtà d’oltreconfine erano anche gli 007 della Germania, della Francia e dell’Italia vista anche la prossimità confinaria e la presenza della minoranza italiana in Istria, Litorale e Quarnero.
Il lavorio spionistico dell’Udba, la polizia segreta jugoslava, ebbe un’impennata proprio negli anni Ottanta per la nascita all’interno della federativa dei primi gruppi di dissidenti che avrebbero poi condotto alla materializzazione della valanga separazionista. È il caso della Primavera di Lubiana uscita allo scoperto dopo l’incarcerazione dell’ex premier sloveno Janez Janša da parte dei militari jugoslavi. In Istria diventò allora operativo il Gruppo 88, associazione alternativa e dissidente. Uno dei suoi leader era Franco Juri che solo pochi anni più tardi sarebbe diventato sottosegretario agli Esteri della neonata Repubblica di Slovenia. «Eravamo controllati e lo sapevamo - racconta Juri - io stesso a posteriori ho potuto prendere visione della documentazione raccolta su di me dagli uomini dell’Udba, un profilo molto completo della mia attività pubblica ma anche della mia vita privata».
A essere sotto la lente d’ingrandimento dei servizi jugoslavi erano oltre ai membri dell’Unione italiana anche i fondatori della Dieta democratica istriana e alcuni riformatori del Partito, insomma chi usciva dai recinti del sistema finiva inesorabilmente nei dossier degli agenti segreti dell’Udba. «Molti controllati - spiega ancora Juri - finivano indirettamente a essere dei controllori in quanto durante i contatti avuti con gli 007 rivelavano cose utili ai dossier di altre persone». Insomma, una sorta di sofisticata catena di Sant’Antonio che permetteva allo Stato padrone di conoscere tutto dei propri “figli”.
Juri ricorda che alla prima assemblea del Gruppo 88 presenziò anche Hartman, ufficialmente responsabile delle minoranze in seno all’Alleanza socialista, ma di fatto anello di congiunzione tra il Partito e i servizi dell’Udba il quale molt0 serenamente nel suo intervento avvisò i protagonisti di stare attenti perché sarebbero stati seguiti in ogni loro passo. In Istria non si rilevano fatti di incarcerazione o di minacce violente da parte degli agenti dell’Udba. «Queste cose avvenivano in altri posto - precisa Juri - penso al Kosovo». «Noi fummo - racconta - più volte, devo dire civilmente, interrogati nelle stazioni di polizia dove la minaccia più pesante era del tipo: “Stai attento a quello che fai, potresti avere conseguenze sul tuo posto di lavoro”».
La paura, comunque, tra la gente c’era. Anche in Istria. Al bar di politica certo non si parlava e la diffidenza era un po’ il pane quotidiano. Certo non a livelli dell’ex Ddr. Ma pur sempre di un regime si trattava. Con Goli Otok a pochi chilometri di distanza.
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