John Hemingway: «Torno nei luoghi dove mio nonno diventò scrittore»

Con un cognome così sarebbe protagonista comunque. Figuriamoci poi, se, come in questo caso, è il centenario della Grande Guerra e suo nonno sulla Grande Guerra ha scritto fior di capolavori. Lui è John Patrick e fa lo scrittore. Ma, a differenza di suo nonno Ernest, non ha vinto il premio Nobel per la letteratura, né ha visto la Grande Guerra. Però sarà presente a èStoria all’evento inaugurale (in programma mercoledì 21 maggio, alle 21, al goriziano Kulturni center Bratuž) per conversare con il giornalista Roberto Covaz. E sarà sull’èStoriabus di domenica 25 maggio, che parte alle 9, in piazzale Martiri della Libertà, sempre nel capoluogo isontino, per condurci sui luoghi di “Addio alle armi”. La sera dello stesso giorno, inoltre, alle 18.30, stazionerà sotto la tenda Erodoto dei giardini pubblici di Gorizia, intervistato da Stefano Salis; quindi, Giuseppe Battiston su “Addio alle armi” baserà un reading. A questo punto, per chi ancora non l’avesse capito, pare il caso di dirlo: lui, di cognome fa Hemingway. Ed è fra i protagonisti di èStoria 2014.
Mr. Hemingway, può inquadrare telegraficamente l’esperienza di suo nonno nel primo conflitto mondiale?
«Faceva parte - rispinde John Hemingway - della Croce Rossa Americana, come volontario e autista di ambulanze. Venne spedito in Italia sul fronte austriaco, dove è stato gravemente ferito ad entrambe le gambe. Allora fu ricoverato a Milano, precisamente all’ospedale Ca’ Granda, dove venne operato e dove tolsero oltre un centinaio di pezzi di shrapnel che gli si erano conficcati proprio nelle gambe. Pochi mesi dopo venne richiamato negli Stati Uniti».
Quanto l’esperienza della guerra ha influenzato suo nonno come uomo e scrittore?
«Direi in maniera fondamentale e mi riferisco naturalmente alla sua esperienza in Italia. Molti dei suoi racconti, certo tra i migliori in lingua inglese dell’ultimo secolo, si ambientano in Italia o fanno riferimenti alla guerra in Italia. Mi riferisco a racconti come “Una semplice domanda” e “In un altro paese”, che trattano dell’ambiguità sessuale e dei veterani che soffrono chiaramente per gli effetti psicologici e fisici originati dalle loro ferite di guerra. Va ricordato, poi, che l’Italia è il paese dove mio nonno ha scoperto gli orrori della guerra di trincea (e fu quasi ucciso da una bomba) e dove si innamorò perdutamente per la prima volta nella sua vita. Uno dei suoi migliori racconti, “Grande fiume dai due cuori”, si svolge durante una battuta di pesca nella penisola superiore del Michigan ma il protagonista (Nick Adams) continua a pensare a un suo amico che è tornato dalla guerra in Europa e non è più lo stesso, in qualche maniera è cambiato, ne è rimasto sconvolto».
Crede che suo nonno, improntato a una visione eroica dell’esistenza, abbia avuto paura nel “vivere” la Grande Guerra?
«Non è che lui non avesse paura. Tutti coloro che presero parte alla guerra avevano paura e se non ce l’avevano credo non fossero esseri umani. Mio nonno non era un soldato ma era comunque lì, in prima linea, e poteva vedere quanto fosse facile morire e come la morte potesse essere casuale. In fondo, a 19 anni, come poteva non aver paura?»
Come l’eperienza di Ernest Hemingway in guerra è giunta fino a lei?
«Tutto ciò che io so di lui relativamente alla Grande Guerra viene dai suoi libri o dai lavori dei suoi studiosi».
A quali luoghi della Grande Guerra suo nonno era particolarmente legato?
«Era legato a Milano. Perchè è a Milano che si è innamorato dell’infermiera Agnes Von Kurowsky. Ma era assai legato anche al fronte perché era lì che si trovava “la miglior gente”. Una volta disse che più ti avvicini al fronte più trovi la gente migliore nel senso che più vicino vai alla morte, all’uccisione, più le amicizie diventano genuine».
Qual è l’esperienza vissuta da suo nonno nel conflitto lo impressionò ed emozionò in modo particolare?
«Sicuramente quando è stato ferito non ha potuto non rimanere impressionato, specie alla sua età, e poi, immagino, l’innamoramento per la Kurowsky».
Oltre all’opera letteraria, che memoria resta di Ernest Hemingway sulla Grande Guerra?
«Le lettere ai parenti, credo. Scriveva a casa, come facevano tutti, e questi scritti si trovano ora nella collezione completa delle sue lettere, che è stata pubblicata negli Stati Uniti».
Cosa vorrà dire per lei ripercorrere i luoghi di suo nonno?
«Avendo vissuto più di venti anni della mia vita in Italia, ho avuto l’opportunità di visitare molti dei luoghi che aveva conosciuto. Ed è sempre un piacere per me riconnettermi con città, fiumi e campi di battaglia in quanto sono una parte della storia della mia famiglia, e, di conseguenza, una parte di me».
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Il Piccolo