John Armstrong: "Davanti al neoclassico nei caffè di Trieste, qui riesco a lavorare"

Il filosofo scozzese è arrivato per caso, ha messo radici e aspetta di tornare
Silvano Trieste 10/10/2015 John Armstrong
Silvano Trieste 10/10/2015 John Armstrong
Nato in Scozia da una famiglia d'origini lontanamente italo-irlandesi, trasferitosi nel 2005 in Tasmania, John Armstrong è un esteta, un filosofo del bello come proiezione d'una aspirazione alla felicità, che vede nell'arte una forma di terapia. Valori di civilizzazione da applicare alla vita moderna, alle realtà produttive e inter-relazionali. E a Trieste Armstrong ha trovato una patria “alternativa” che rispecchia questi suoi ideali. 
 
Come è nato il suo ormai pluriennale rapporto con Trieste? 
 
Arrivai per la prima a volta Trieste per puro caso. Non sapevo niente della città. Avevo però sentito che era ricca di bar e caffè, così pensai che valesse la pena tentare. Rimasi stupito per quanto è bella. La bellezza di Trieste non è concentrata in un due monumenti famosi, ma è il suo generale carattere d'insieme a renderla così straordinaria. Sono un appassionato dell'architettura neoclassica, la adoro, e Trieste è uno dei migliori posti al mondo per ammirare questo stile in una versione genuinamente democratica e urbana. Non penso che l'arte debba essere riservata solo alle grandi occasioni, come si ritiene nel mondo anglosassone. L'arte dovrebbe essere il normale sfondo delle nostre esistenze, solo così può avere su chi la vive una benefica funzione terapeutica.
 
Quando progetta i suoi ritorni, con quali criteri sceglie dove soggiornerà?
 
In tutti questi anni ho abitato un po' dappertutto, in zona Barriera, Piazza Oberdan, Via Diaz, Cavana. Ora spero di tornare ad aprile 2021. Ho affittato un delizioso appartamento all'inizio di via Roma, è al secondo piano, con un balconcino e il pavimento di parquet. Sono però terrorizzato dall'idea che il Governo australiano possa impedirmi di lasciare il paese. Al momento ci sono regole rigidissime in merito all'uscita dall'Australia. Manco da Trieste da fine 2019 e non avere la possibilità di essere lì è una ferita emozionale. 
 
Ha dei luoghi ai quali è particolarmente affezionato?
 
Ciò che ho amato da subito della città è stata la vita che vibra attorno ai suoi caffè. Negli ultimi anni ho passato centinaia di mattine seduto nel dehor della Stella Polare e centinaia di serate in quello del Caffè Walter in Via San Nicolò. Mentre il sole tramontava alla fine della strada, pensavo e scrivevo, e attorno a me pulsava l'animata vita sociale della città. E poi tornavo più tardi quando tutto sembrava calmarsi. Sì, amo i bar e i ristoranti di Trieste! E il delicato mix tra l'architettura elegante e serena del Borgo Teresiano e le tessiture tortuose del Ghetto. Lì c'è un piccolo bar in una piazzetta triangolare dove ho incontrato moltissime persone interessanti. Ma il Ghetto dà il meglio di sé a notte inoltrata.
 
Trova che Trieste sia il luogo ideale per produrre pensiero? 
 
Per me la condizione ideale per scrivere è praticamente pubblica. La presenza di persone attorno mi spinge a non perdere tempo o a distrarmi. Ho bisogno di un pubblico che vede che sto lavorando. Quando sono completamente solo – e nessuno mi guarda - la tentazione di abbandonarmi alla pigrizia diventa incontrollabile. Di contro, ho bisogno dell'anonimato, non andrebbe bene se qualcuno si mettesse a parlarmi. A Trieste ho trovato una cultura dei caffè molto sofisticata: sei in compagnia, ma tutti sono discreti e civilizzati. Quando sono in Australia e sto disperatamente tentando di finire un lavoro, spesso sento l'urgenza di partire immediatamente per Trieste e ritrovare le mie condizioni di lavoro ideali. 
 
A Trieste - oltre a scrivere e pensare - ha anche una vita sociale?
 
Tra i momenti più felici della mia vita ci sono una serie di cene organizzate da amici triestini in locali lungo il Canal Grande vicino al Ponterosso. Tutte persone a loro modo affascinanti, e le conversazioni erano sempre accompagnate da abbondanti libagioni, col mare e il golfo sullo sfondo. Ma non è solo la bellezza esteriore dell'insieme che ricordo. C'era la sensazione di essere parte della città. Stringere vere amicizie è stata la cosa più importante dei miei soggiorni triestini. Mi mancano tutti immensamente e non c'è chiamata per Skype o telefono che possa sostituire un abbraccio e un aperitivo! 
 
Cosa pensa della vita culturale e musicale della città?
 
Una delle cose che più mi deliziavano a Trieste era la possibilità d'andare all'Opera. Il Teatro Verdi ha delle splendide proporzioni, nè troppo grande nè troppo piccolo. Prima che l'opera inizi, dal tuo palco puoi guardare le persone che conosci, tutte ben vestite, mentre spettegolano o flirtano tra di loro: per qualcuno che viene dall'Australia è stupefacente ammirare la qualità delle produzioni. Non avrei mai immaginato che una città di circa 200.000 abitanti potesse mettere in scena stagioni liriche di tale levatura.
 
Come sta vivendo quest'anno l'impossibilità di viaggiare?
 
È tutto molto strano. All'inizio mi sentivo terribilmente triste. Mi sentivo tagliato fuori dal mondo che tanto ho imparato ad amare. Penso a Trieste ogni giorno, ci vorrà forse ancora del tempo, ma so che tornerò. Nel frattempo seguito a prendere ogni giorno lezioni di italiano. —
 
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