James Joyce, che pasticcio quel libro di inediti
L'annuncio dell'uscita per i tipi della casa editrice Gallucci di Roma di un inedito joyciano può trarre in inganno i lettori meno informati. Si tratta di 10 brevi testi scritti da Joyce nel 1923 che anticipano gli arditi giochi linguistici, alcuni temi mitologici e molti personaggi di “Finnegans Wake”. In realtà gran parte di questi testi erano già noti da decenni, in quanto pubblicati nel 1963 nel volume “A First-Draft Version of Finnegans Wake” curato da David Hayman.
Spacciandoli per inediti, la chiacchierata casa editrice Ithys di Dublino li ha pubblicati l'estate scorsa con il titolo “Finn's Hotel” per la cura del discusso studioso joyciano Danis Rose, con una postfazione di Seamus Deane e illustrazioni di Casey Sorrow. La casa editrice Gallucci ripropone questa stessa edizione di “Finn's Hotel” (pagg. 125 euro 13) per la versione di Ottavio Fatica del testo di Joyce e di Giovanna Granato per l'apparato critico.
In Irlanda, alla pubblicazione del volumetto/gioiello (dove il prezzo varia dai 3.000 ai 250 euro) c'è stata una prevedibile alzata di scudi da parte degli studiosi ed esperti joyciani, scandalizzati non tanto dal prezzo quanto dalla dubbia correttezza dell'operazione editoriale firmata peraltro da una casa editrice come la Ithys di Anastasia Herbert che nel 2012 aveva pubblicato un testo di Joyce sottratto alla Fondazione Joyce di Zurigo (“I Gatti di Copenhagen”, una storiella che Joyce scrisse per il nipotino Stephen).
Parere comune degli accademici e degli studiosi è che i dieci raccontini pubblicati sotto il titolo “Finn's Hotel” non possono essere visti come parte del 'canone' joyciano, ma rappresentano solo materiale di lavoro per una opera più complessa e conclusa quale è invece “Finnegans Wake”.
Dello stesso parere è anche il professor John McCourt, dell'Università di Roma Tre, che ha dichiarato: «Non posso che deplorare l’uscita di questo volume. Nel 1992 Danis Rose tentò di pubblicare “Finn’s Hotel” con la casa editrice Penguin e già allora si rivelò un falso, c'è riuscito ora con Ithys in Irlanda e con Gallucci in Italia. Il libro viene venduto come un'opera originale di Joyce, ma non lo è. È l’ennesimo esercizio di “self-marketing” da parte di un studioso “indipendente” irlandese che si firma con lo pseudonimo di Danis Rose e che ha alle spalle altre pubblicazioni di dubbio valore scientifico che hanno creato grande costernazione fra gli studiosi più accreditati. “Finn’s Hotel” è composto solo di bozze di pezzi del futuro “Finnegans Wake”, venderlo come inedito è un falso clamoroso. Chi rispetta lo scrittore irlandese farebbe bene a valutare questo libro prima di acquistarlo. Dispiace che Seamus Deane, il decano dei critici letterari irlandesi, abbia scritto una postfazione dando al volume un’imprimatur che di sicuro non merita. Dispiace anche che un bravo traduttore italiano, Ottavio Fatica, sia caduto nella trappola di tradurre questo testo».
Tra gli studiosi più accreditati che condividono il disappunto di John McCourt c'è il Professore Derek Attridge dell'University of York, il quale sottolinea che spacciare il testo per un inedito è scorretto soprattutto verso “an unsuspecting public". E aggiunge che «la teoria di Danis Rose, che questi testi siano stati intesi da Joyce come una raccolta di storie sotto il titolo “Finn's Hotel”, non trova alcun riscontro. A meno che Rose non produca sostanziali evidenze che questa pubblicazione non è il frutto del lavoro di fantasia di un editore, essa non può far altro che distorcere e danneggiare la reputazione di Joyce».
John Nash della Durham University ammette che «si tratta certamente di interessanti pezzi di transizione verso la scrittura sperimentale di “Finnegans Wake”, ma non certo, come sostiene Danis Rose, di un “compiuto ciclo di racconti brevi” come “Gente di Dublino”». Anche Terence Killeen, del James Joyce Centre di Dublino sottolinea che «non c'è alcuna evidenza che Joyce avesse pensato quei testi per essere pubblicati, e con quel titolo. Intenzioni che vanno rispettate. Inoltre Danis Rose insiste a definirli “epicleti”, un termine che Joyce usò per descrivere “Gente di Dublino” e che è decisamente improprio per quelle che sono solo “vignette”».
Elisabetta d'Erme
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