Isonzo, rispunta il ponte sul Grafenberg

Prima guerra mondiale cent’anni dopo; Prima guerra mondiale da “toccare” ancora oggi a Gorizia.
Rendere accessibili i luoghi del conflitto potrebbe essere un’idea per rinvigorire l’interesse per il centenario, sensibilmente scemato dopo l’ultima edizione del festival èStoria e della conclusione delle belle mostre sulle divise militari. Più attivo rispetto a quello di Gorizia sembra essere il Comune di Monfalcone. Oltre a incontri con ospiti di alto livello (Mieli, Augias, Ovadia per citarne alcuni) c’è la chicca del simulatore, allestito al Palaveneto, con cui si può effettuare un coinvolgente sorvolo sulle linee del fronte sul Carso.
Torniamo a Gorizia, per suggerire la valorizzazione dei tanti esperti locali della Grande guerra. Tra i ricercatori più competenti figura senz’altro il goriziano Pierluigi Lodi, che recentemente ha individuato i lacerti di uno dei tenti ponti militari costruiti lungo l’Isonzo nel tratto cittadino. Prima dello scoppio del conflitto erano almeno otto.
Lodi, che cosa ha rinvenuto? Ma prima di tutto tracci un breve inquadramento storico.
Sia il generale Zeidler, sia il comandante del XVI Corpo d’Armata imperiale e regio, von Wurm, si accorsero ben presto, nelle prime concitate fasi dell'apertura del fronte dell'Isonzo, che gestire la logistica del sistema trincerato Calvario-Grafenberg-Peuma rendeva necessario disporre di ponti, defilati e difficilmente battibili dall'occhiuto e preciso tiro dell'artiglieria italiana.
Che cosa resta di questi ponti?
Oggi è un po’ difficile scorgerne i resti ma i vecchi goriziani ricordavano molte di quelle strutture, rese celebri dalle corrispondenze di guerra, anche perché spesso si trovavano vicine ad altri manufatti usati da sempre dalla gente come passaggio dell'Isonzo; ma anche chi come me, cioè i ragazzi del baby boom, usava come campo di giochi e d'estate spiaggia le rive del fiume di smeraldo ha netta memoria di quanti fossero i resti delle strutture di cui parliamo.
Dunque, cosa ha scoperto?
Portando i miei figli lungo l'Isonzo, al di là del ponte del torrione, su quello che fu parte del fondo Fogar, ho notato come sia recentemente riemersa dalla vegetazione una parte importante di uno di quei ponti, contraddistinta dalla presenza della massiccia strada d'accesso e da una bella fontana neoclassica, di cui restano le colonne e la struttura.
Guardare ma non toccare? O è possibile mettere in sicurezza il sito perché sia visitabile da tutti?
Con l'amico Aljoša Sosol abbiamo eseguito una breve perlustrazione, verificando come non sembra impossibile immaginare di allestire un sentiero analogo a quello del Parco dell'Isonzo che possa arrivare sino alla confluenza della Pevmica nel fiume.
Quali sono gli elementi di maggior interesse?
A parte i resti del ponte, opera di guerra tra il 15 ed il 16 dei genieri austroungarici, si incontrano su questa abbastanza agibile sponda diversi ricoveri blindati imperialregi, poi riutilizzati, dopo l'agosto 1916, dai soldati italiani, accampati da Salcano a Savogna al riparo delle alte sponde del fiume.
Secondo lei è fattibile un recupero del sito?
Sì, non credo che rivitalizzare questa parte di città sia troppo difficile o dispendioso.
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