Is, cerchio chiuso sui reclutatori a Nordest

Lo sloveno arrestato era diventato l’uomo di fiducia dell’imam bosniaco che teneva i contatti fra Sarajevo e gli jihadisti in Italia
Due foreign fighters in un campo di battaglia siriano
Due foreign fighters in un campo di battaglia siriano

TRIESTE. Con l'arresto a Lubiana di Rok Žavbija, sloveno di 26 anni, è caduto nelle mani della giustizia forse l'ultimo tassello della rete di reclutatori di foreign fighter a favore dell'Is, operanti tra Veneto e Friuli, agli ordini dell'imam Husein Bosnc„, detenuto in Bosnia con l'accusa di terrorismo internazionale e instradamento di combattenti jihidisti verso la Siria. «Abbiamo portato alla luce forse tutta l'organizzazione, ma le indagini continuano» dice il procuratore aggiunto di Venezia Adelchi d'Ippolito, con accanto il comandante dei Ros di Padova, tenente colonnello Elvio Labagnara.

Arrestato in Slovenia un “foreign fighter”
ll ministro dell'Interno, Angelino Alfano, in una immagine del 05 maggio 2016. ANSA/CIRO FUSCO

L’indagine è partita nel 2013 con la partenza del bosniaco Ismar Mesinovi„ assieme al figlio di appena due anni, per i campi di battaglia in Siria, segnalazione effettuata dai carabinieri di Belluno. Stessa sorte per un macedone, Munifer Karamaleski. Il primo è morto nel gennaio 2014, dell'altro si ritiene sia ancora attivo sui teatri di guerra. Scomparso invece il bimbo. «In procura a Belluno - dicono gli investigatori - c'è un fascicolo aperto, ma al momento non abbiamo notizie. È difficile avere informazioni da quell'area».

Rok Žavbija, ex combattente in Siria, e attualmente autotrasportatore di carne da kebab, è stato bloccato sabato scorso, in collaborazione con le forze di polizia slovene, a Kamnik nei pressi di Lubiana, sulla base di un mandato d'arresto europeo con l'accusa di «arruolamento con finalità di terrorismo anche internazionale» nel quadro della lunga indagine condotta dal Ros a partire dal 2013. L’uomo è attualmente in carcere a Lubiana anche se la magistratura italiana contasu una sua rapida estradizione.

Le indagini hanno portato a far emergere il percorso di radicalizzazione e instradamento dei due foreign fighter e tutto ruota attorno all'imam Bosnic. Sarebbe stato lui a indirizzare i suoi adepti verso l'area bellunese per indottrinare Mesinovi„ e Karamaleski, a lui facevano riferimento, secondo l'accusa, Ajhan Veapi, nato in Germania ma residente ad Azzano Decimo (Pordenone), fermato a fine febbraio a Mestre e considerato il suo braccio destro, e Žavbija. Nella disponibilità dei reclutatori ci sarebbero state anche delle armi, ma non risulta che siano state compiute attività sul campo per l'addestramento né che fossero stati programmati attacchi terroristici in Italia. Tutto, anche l'acquisto di apparecchiature come un drone o un visore notturno - spediti con un pacco dalla Germania da Mesinovi„ i 2 dicembre 2013 - era finalizzato al combattimento in terra siriana.

Tutto ruota, comunque attorno alla figura dell’imam errante per conto di Al Baghadai, Hussein Bosnic, 42 anni, conosciuto come Cheb Bilal nella comunità wahabita della Bosnia-Erzegovina di cui era il leader. L’uomo è stato arrestato assieme ad altri 15 islamisti dalla polizia di Sarajevo ed è accusato di finanziamento di attività terroristiche, pubblica istigazione, reclutamento e organizzazione di gruppi terroristici. E proprio Bosnic avrebbe spinto alla conversione e al fanatismo Ismar Mesinovi„, imbianchino bosniaco che ha lasciato la moglie, è andato in Siria passando dai Balcani e portando con sé il figlioletto di due anni. Bosni„ aveva incontrato il suo connazionale durante la tappa a Pordenone. I due erano rimasti in contatto attraverso i social network e le chat nascoste su Tor. «Noi musulmani - aveva dichiarato Bosni„ in un’intervista a La Repubblica pochi giorni prima dell’arresto - crediamo che un giorno il mondo intero sarà uno Stato islamico.

Il nostro obiettivo è fare in modo che anche il Vaticano sarà musulmano. Forse io non riuscirò a vederlo, ma quel momento arriverà. così sta scritto. È questo che spiego ai ragazzi». E dopo la morte di Mesinovic, lo sloveno Rok Žavbija, anche per il suo carisma, era diventato l’uomo di fiducia di Bosnic. Fiducia assolutamente ben ripagata dallo jihadista sloveno il quale, dopo aver combattuto in Siria era rientrato in Slovenia aveva il compito specifico, proprio alla luce della sua esperienza nel teatro di combattimento siriano, di istruire gli aspiranti foreign fighter selezionati dallo stesso imam. Lo sloveno era stato ospitato a casa degli aspiranti combattenti nel bellunese e a loro aveva dato precise indicazioni di carattere logistico ed istruzioni sotto il profilo operativo e di combattimento. Ma non preparava alcun attentato.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Riproduzione riservata © Il Piccolo