«Io, triestina vaccinata a Londra, per l’Italia non ho diritto ad avere il Green pass»

Il racconto di Alice Strippoli, 23 anni. La burocrazia non le consente di ottenere il certificato nonostante la doppia dose

Linda Caglioni

TRIESTE. Un vaccino è un vaccino, ovunque venga iniettato. Suona come un assioma elementare, eppure non è così. Lo sanno bene migliaia di italiani residenti in Gran Bretagna che hanno completato lì il ciclo vaccinale e che, una volta rientrati a casa, hanno scoperto di non poter avere il Green pass. Tra questi c’è anche la triestina Alice Strippoli, 23 anni, rientrata in Italia lo scorso 8 giugno, dopo sei mesi trascorsi a Londra come ragazza alla pari.

«Per lavoro seguivo una bambina che aveva due nonni con problemi di salute. Mi trovavo spesso a interagire con loro, per questo mi sono affrettata a fare il vaccino – racconta Alice, che ha ricevuto la prima iniezione il 6 aprile -. Il richiamo, invece, mi era stato fissato per il 3 giugno, sempre a Londra, anche se io avrei preferito concludere il ciclo vaccinale in Italia. Purtroppo, in quel momento nessuno sembrava in grado di dirmi se sarebbe stato possibile programmare la seconda dose una volta tornata a casa. Mia mamma è andata a chiedere al centro vaccinale San Giovanni, ci siamo mobilitati per scoprire qualcosa, ma inutilmente».

Il motivo per cui avrebbe voluto ricevere la seconda iniezione qui è semplice: per avere tra le mani una prova conforme alle regole italiane di essere immunizzata contro il Covid. E, poco dopo il suo rientro, ha avuto la conferma che la semplice documentazione inglese non era sufficiente. «In quegli stessi giorni si è cominciato a parlare di Green pass sempre più spesso. Quando mi sono mossa per ottenerlo – prosegue Alice – pensavo sarebbe stato sufficiente spiegare come erano andate le cose al centro vaccinale. Invece lì mi è stato risposto che sarei sì stata registrata come vaccinata ma che, in ogni caso, non avrei potuto avere il Green pass».

La ragione non ha nulla di scientifico e ha tutto di burocratico: riguarda il fatto che l’Italia, caso quasi unico in Europa, non riconosce ancora la validità delle vaccinazioni somministrate dal Sistema sanitario britannico, nonostante siano ben 19 i paesi dell’Unione Europea che accordano piena equivalenza ai vaccini britannici. «Nella mia stessa condizione ci sono tantissimi altri lavoratori già immunizzati che sono stati all’estero e che anche ora che sono rientrati non possono ottenere il Green pass. Ho la sensazione di non poter fare nulla, mi sento bloccata – conclude la giovane triestina -. Mi pare assurdo che si insista tanto sul fatto che bisogna proteggersi e poi succedano queste cose».

Le fa eco il padre Edoardo, che sta cercando insieme a lei una strada per uscire dall'impasse: «Credo che una cosa del genere non debba esistere. Se uno accetta di farsi iniettare il siero, è assurdo che poi si trovi a combattere per ottenere le libertà e le agevolazioni che erano state promesse - racconta l'uomo -. Non stiamo parlando di un vaccino russo o cinese, ma di un prodotto europeo che era stato approvato dall'Ema e di cui anche in Italia sono state fatte migliaia di dosi. L'assessore regionale alla Sanità Riccardo Riccardi ci ha invitati a vaccinarci, noi lo abbiamo fatto. E questo è il risultato?».

Il problema, tuttavia, è nazionale e non rappresenta una specificità regionale. È lo stesso Riccardo Riccardi ad affermare che «è evidente che questo problema debba essere superato. Se un cittadino, qualsiasi cittadino, si è vaccinato con un vaccino riconosciuto dalle autorità competenti - conclude il vicegovernatore -, deve essere messo nelle condizioni di poterlo dimostrare applicando tutte le regole che esistono in un paese». —


 

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