«Io, giardiniere in nero così arrotondo un po’»

Inizia oggi un reportage a puntate sul lavoro “abusivo” che raccoglierà le testimonianze di chi svolge una professione in modo illegale o senza tutti i requisiti che la legge impone. A tutte le persone intervistate è stato garantito l’anonimato. Pubblicheremo anche il racconto di chi, invece, lavora in modo trasparente e riconosciuto nonché un approfondimento sulle leggi che regolamentano i vari mestieri.
In tutti i rioni di Trieste e sull’altopiano carsico esistono centinaia di giardini privati da sistemare e da “tirare a lucido”. Se da un lato molti dei lavori di manutenzione vengono svolti da ditte specializzate, dall’altro invece sono innumerevoli i casi in cui a svolgere questo tipo di professione sono persone che ci mettono la “sola” passione, con competenze più o meno accertate, spesso in un regime di prestazione lavorativa al limite della legalità: sono i lavoratori che normalmente vivono arrotondando con qualche servizio, totalmente in nero.
Davide (nome di fantasia) rappresenta una parte di questo mondo nascosto e risponde alle domande al telefono senza alcun problema.
«Saranno circa cinque anni che svolgo saltuariamente questo lavoro. Diciamo che ho iniziato grazie a delle conoscenze che mi hanno introdotto nel mestiere». Ma quali sono le mansioni principali che vengono richieste? «Giardini privati di proprietà di persone che non hanno né voglia né tantomeno tempo da dedicare alla manutenzione, agli sfalci, alle potature. Solitamente trovi clienti basandoti sul passaparola, ci sono amici di amici che chiedono una mano. D’altronde se ai proprietari venisse in mente di chiamare una ditta per sistemare anche uno spazio verde di piccole dimensioni, il preventivo costerebbe tre volte tanto», racconta Davide.
Tuttavia il suo non è un impegno giornaliero. «A volte capita di lavorare una, forse due volte a settimana. Di norma non succede quasi mai di andare oltre le quattro, cinque giornate lavorative al mese». La motivazione che lo spinge a fare questo ha esclusivamente carattere economico. «Lo si fa per andare avanti, pagare le spese e per riuscire a badare a me stesso. È ovvio che il giorno in cui non sentirò più il bisogno di cimentarmi nel giardinaggio allora smetterò».
Alcune espressioni sono figlie di un atteggiamento che in moltissimi conoscono, a volte frutto di una criticità insormontabile nel trovare lavoro, altre volte invece emergono come punte di un iceberg chiamato scelta. «È un lavoro faticoso, non è che ci si diverta così tanto a farlo», spiega Davide che tuttavia è ben consapevole degli oneri di questa professione. «Fino a quando si tratta di praticare degli sfalci, tagliare le siepi e, in generale, dare una sistemata al giardino, allora non serve uno sforzo particolare. In altri casi invece l’impegno diventa maggiore».
Con cosa si lavora? «Per esempio uno degli strumenti maggiormente impiegati è il decespugliatore, per il quale non serve avere nessun particolare certificazione o patentino».
È la motosega invece a necessitare di una vera patente «anche se non capita quasi mai di utilizzarla; quello è un caso diverso, probabilmente in lavori molto impegnativi e quando c’è bisogno di una grande mole di lavoro, mentre nei giardini solitamente non c’è necessità di usarla».
Davide non è però disposto a fare questo ogni giorno. «Dovrei mettermi in testa di aprire una ditta, prendermi l’impegno quotidiano del giardinaggio, fare i conti con le tasse e i contributi; metti caso che le cose vadano bene e che la domanda aumenti sensibilmente, dovrei prendere qualcuno con me e accettare tutto ciò che ne consegue, insomma non sarebbe sostenibile».
Com’è la dimensione dei ricavi? «Bisogna premettere che la maggior parte delle volte il lavoro viene svolto in amicizia, e di conseguenza i soldi vengono stabiliti sulla base di un rapporto che è già consolidato. Il fatto è che il lavoro di giardiniere lo si può fare anche in regola, visto che si può chiedere di essere pagati in ritenuta d’acconto e in questo caso, senza sforare i 5000 euro l’anno, tutto è in una dimensione legale».
Quella ritenuta d’acconto che poi si può richiedere venga accreditata dall’Agenzia delle Entrate sul proprio conto corrente, successivamente alla presentazione della dichiarazione dei redditi.
Ci si muove tra giardini lasciati andare per anni, se non per decenni, e si può lavorare – anche se è diverso – in giornate da dedicare a campi, dove a volte ci si può ritrovare di fronte a «rovi e a dover pulire terreni lasciati incolti per moltissimo tempo».
Una delle situazioni che riguarda da vicino il lavoro di giardinaggio è ad esempio lo smaltimento: «Fino a quando si fa un lavoretto semplice di sfalcio e di pulizia, allora quello che si deve smaltire finisce nei bidoni per il verde. In questo caso una ditta non potrebbe farlo e dovrebbe rivolgersi a chi offre questo servizio, di cui però non conosco il funzionamento».
Davide sa perfettamente che non vuole fare questo per sempre e che comunque il suo è un impegno composto da poche giornate al mese. La regolarizzazione la vorrebbe trovare in campi diversi, quelli rappresentati non tanto dal giardinaggio “abusivo” bensì da impieghi stabili. «All’inizio passavo anche intere giornate a vigliare sul lavoro, sulle potature, passando gli attrezzi alle persone con cui lavoravo».
La telefonata con Davide si chiude dopo poco meno di un’ora, durante la quale la convinzione personale supera di gran lunga il timore. Il confine tra il legale e l’illegale in questi casi potrebbe essere quasi insignificante, se tutto restasse sotto la soglia dei 5000 euro l’anno. Anche se naturalmente chiunque sa molto bene che l’ammontare di quella cifra non permetterebbe a nessuno di vivere, non all’interno di un ambiento urbano come la città di Trieste. Se così fosse, allora il lavoro nero sarebbe semplicemente un elemento di un mondo chiamato soglia di povertà.
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