Intese fino a 20 miliardi con la Cina. Salvini attacca, ma Di Maio lo snobba

ROMA La soddisfazione, innanzitutto. Quella del presidente cinese che parla di «un grande successo» e quella del vicepremier Luigi Di Maio che dedica la sua firma agli imprenditori del Made in Italy. E poi le fanfare, le photo opportunities, i solenni silenzi tra le parole degli interpreti e le polemiche, in particolare il botta e risposta e distanza tra lo stesso Di Maio e Salvini, rispettivamente nel ruolo di entusiasta paladino del Dragone l’uno e l’altro a dirsi scettico nei confronti di un mercato tutt’altro che concorrenziale. La giornata del Memorandum of Understanding, che vede l’Italia primo Paese del G7 ad aderire ufficialmente alla Belt and Road Initiative, tramonta su un orizzonte nuovo, per molti promettente e per altri ignoto.
I cerimoniali sono tanti e fastosi, le procedure di poche parole, in stile cinese. Nel giro di una mattinata il premier Conte e il presidente Xi Jinping coordinano i colloqui bilaterali, sorridono a vantaggio delle telecamere, presidiano il tavolo delle 29 intese a cui si danno il cambio Di Maio, firmatario di tre Memorandum, i ministri Tria, Centinaio, Bonisoli e Grillo, politici e capitani d’impresa, i garanti dell’Italia accanto ai garanti della Cina. Si parte.
Se il compiacimento di Pechino era già tutto nelle quattro delle otto pagine del «Quotidiano del popolo» dedicate ieri a Xi Jinping e Mattarella, quello di Roma ha il volto estatico di Di Maio che, nei giardini di Villa Madama, scommette sul cambio di passo («c’è troppo Made in China in Italia e poco Made in Italy in Cina»), promette sviluppi ulteriori («gli accordi firmati valgono 2, 5 miliardi di euro ma hanno un potenziale di 20 miliardi»), rassicura gli alleati storici pur rivendicando il primato dell’iniziativa su Parigi e Berlino («l’Italia è arrivata prima sulla Via della Seta e altri Paesi Ue hanno delle posizioni critiche, non vogliamo scavalcare i nostri partner Ue ma nelle relazioni commerciali diciamo Italy First»).
Tutto bene per il governo giallo-verde quel che finisce bene? Fino a un certo punto, perché sullo sfondo di una scommessa che, a detta del premier Conte «non presenta alcun rischio per la sicurezza nazionale», si stagliano le parole sibilline di Salvini, ospite del lontano Forum di Confcommercio ma, evidentemente, vicino nello spirito.
«Non mi si dica che la Cina è un Paese con il libero mercato» butta là il ministro dell’Interno. Una frecciata assai più pungente per il frontman pentastellato in cerca di nuova visibilità di quella del verde Angelo Bonelli, preoccupato per l’espansione di energia fossile avallata dagli accordi, o di quella del cronista del Foglio che ha denunciato l’intimidazione subita da parte dell’ambasciata cinese per le sue critiche a Pechino sui diritti umani. Di Maio, sintonizzato sulle frequenze dell’alleato e avversario, replica a lui: «Salvini ha il diritto di parlare, io ho il dovere di fare». Il cammino sulla Via della Seta è cominciato. —
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