«Infermieri del Maggiore ogni giorno più uniti per aiutare chi è in isolamento»
TRIESTE. «Durante l’intenso lavoro di queste settimane di emergenza sanitaria da Covid-19 ci teniamo a ringraziare di cuore tutti i cittadini che ci stanno aiutando e supportando». Michael Valentini è il coordinatore infermieristico del reparto di Malattie infettive dell’ospedale Maggiore di Trieste, uno dei reparti in prima linea contro il coronavirus e dove in questi giorni sono arrivate numerose manifestazioni di solidarietà, con tanto di striscione appeso all’esterno della struttura con la scritta: «Di questa battaglia i veri guerrieri. Grazie a medici e infermieri».
Le emozioni si incrociano con la necessità di non pensare più di tanto, «di trovare lo spirito guerriero – racconta Valentini – che vedo negli occhi dei miei colleghi che tutti i giorni indossano mascherina, occhiali protettivi e camici per dare aiuto ai pazienti. In questi giorni abbiamo sentito il grande affetto delle persone e infatti volevamo mandare dei ringraziamenti ai cittadini che ci stanno supportando con moltissime cose come pranzi e cene o regali (l’invito è quello di non mandare soldi se non attraverso le raccolte fondi organizzate ad esempio dalla Regione, ndr). È una cosa bellissima e appena avremo un attimo di tempo cercheremo di esprimere la nostra riconoscenza».
Nel reparto infettivi i degenti sono ospitati in camere singole: «L’isolamento è una delle cose più difficili da accettare, le persone sono sole e i parenti non possono venire a trovarle. I più giovani hanno solitamente il telefonino con cui riescono a contattare i propri cari, per gli anziani invece il discorso è più complesso: per questo cerchiamo di aiutarli in tutti i modi possibili».
La squadra degli infermieri del reparto di Malattie infettive è composta da 15 unità a cui si aggiungono 6 Oss, oltre agli 8 medici. Addosso tutti i giorni la mascherina, il camice protettivo e gli occhiali, i famosi Dpi ovvero i dispositivi di protezione individuali, quelle barriere che proteggono il personale dal contagio e magari, come il mantello dei supereroi, servono anche per dare la forza necessaria ad affrontare quello che nessuno avrebbe mai immaginato di dover affrontare. «Li dobbiamo togliere e reindossare più volte – spiega Valentini –, questo perché altrimenti, tenendo a lungo la tuta addosso, c’è il rischio potenziale che la soglia di attenzione si abbassi. Quindi prima di entrare nelle stanze eseguiamo la procedura di vestizione completa».
I virus e le malattie contagiose in realtà sono il pane quotidiano per chi lavora negli infettivi, anche se in questo periodo i timori un pochino aumentano pure perché dietro a mascherine e camici ci sono delle vite magari con figli, fidanzati o mogli e mariti che aspettano a casa. «Non posso nascondere che c’è un po’ di paura, però il gruppo sta reagendo bene con colleghi che chiamano per venire a lavorare. Siamo delle persone che si stanno unendo per la battaglia – sottolinea Valentini –, anche perché qua c’è un clima da guerra e guardandoci negli occhi leggiamo lo spirito guerriero di chi ha voglia di reagire».
La palazzina degli infettivi è al Maggiore. In tutti i reparti, anche dell’ospedale di Cattinara, si sono adottate le procedure che usano Valentini e gli altri infermieri: «Stiamo facendo delle consulenze a colleghi di altre specialità. Il disorientamento iniziale che leggi negli occhi lascia però presto lo spazio alla voglia di imparare tante cose».
Dotazioni e procedure sono state adottate con anticipo dall’Azienda sanitaria universitaria giuliano isontina: «Siamo partiti fin da subito – conferma Valentini – e nel limite dei “miracoli” stiamo ricevendo tutto il supporto necessario con personale e dispositivi». Quella contro il coronavirus è una battaglia che non possono però combattere da soli medici, infermieri e Oss: «Non vorrei essere banale con gli appelli a restare a casa, ai cittadini però chiedo di rispettare le norme di igiene buttando i fazzoletti dopo averli usati, starnutendo nel gomito per evitare di spargere germi ovunque e poi serve tanta pazienza. Mi rendo conto che è difficile soprattutto per chi ha dei bambini. È dura – conclude –, però dobbiamo farlo tutti insieme».
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