Indipendentisti Mtl, 20 indagati per il blocco in Porto Vecchio
Il blocco alla bretella del Porto Vecchio dello scorso 10 febbraio in occasione del cosiddetto “ultimatum all’Italia” è finito sotto la lente della Procura e, in particolare, del pm Federico Frezza. I nomi di 20 attivisti del Movimento Trieste Libera sono stati iscritti nel registro degli indagati: l’accusa è di aver partecipato e - in certi casi - organizzato una manifestazione non autorizzata che ha creato disagi alla circolazione e ha interferito con la libertà di movimento dei cittadini e degli abitanti.
È la prima volta che un gruppo di militanti del movimento che lotta per l’assoluta autonomia di Trieste, finisce sotto accusa per questo genere di reati. In passato, per esempio, in occasione della manifestazione dell’8 dicembre scorso o di quelle frequenti che si sono svolte davanti al Tribunale, gli organizzatori del Mtl avevano sempre comunicato alla Questura i loro programmi.
Qui invece, nella logica di non riconoscere lo Stato italiano se non come occupatore del territorio di Trieste, Trieste Libera non lo ha fatto. Anche se il giorno seguente il presidente e portavoce del movimento indipendentista, Roberto Giurastante, aveva annunciato di «aver avvisato con anticipo il Consiglio dei ministri e le Nazioni Unite». «Per l’Italia - aveva detto - non contiamo nulla: il nostro interlocutore sarà solo l’Onu». Ma, fermo restando che la competenza del Consiglio dei ministri o dell’Onu non riguarda l’autorizzazione a una manifestazione per la rivendicazione territoriale, certo è che ora lo Stato «non riconosciuto» si è attivato con tutte le conseguenze giudiziarie che si possono facilmente immaginare.
I 20 attivisti sono stati identificati quel giorno stesso dagli investigatori della Digos. I poliziotti si erano piazzati proprio nei pressi del posto di blocco all’inizio della bretella che conduce al Magazzino 26, ma anche vicino alla Sala Tripcovich e avevano fotografato le varie fasi della singolare protesta.
Soprattutto quando erano state fermate diverse auto i cui conducenti avevano manifestato l’intenzione di entrare nella zona portuale. A controllare i varchi (l’altro passaggio off limits era quello di largo Santos) erano stati due gruppi di militanti organizzati. Le donne del movimento indossavano pettorine rosse e sul volto avevano impresso l’alabarda disegnata con colori a pastello. Qualche automobilista aveva protestato, altri avevano inserito la retromarcia e avevano prudentemente cambiato percorso. Gli investigatori della Digos nel corso delle indagini li hanno identificati. E qualcuno è stato anche interrogato come persona informata sui fatti e ha confermato quanto accaduto.
Sono stati sequestrati i cartelloni del blocco stradale. È stata trasmessa in Procura un’informativa su quanto successo. Alla quale, si è saputo, è seguita una seconda nota corredata dai nomi dei militanti identificati “al lavoro”. E ora è scattata l’iscrizione nel registro degli indagati. Accusa: manifestazione non autorizzata. Ma le indagini non sono finite.
Nello scorso mese di luglio, poche settimane dopo quella che in Tribunale era stata definita dal presidente della sezione penale, una inqualificabile gazzarra, il movimento Tlt aveva inventato una finta dogana nella zona di San Giovanni di Duino. Al’improvviso una mattina erano apparsi cartelli con queste frasi: «Confine con il Territorio libero di Trieste». E poi: «Alt Italia posto di blocco a 100 metri». Infine: «Controllo documenti e dogana». La Questura aveva fatto sapere tramite la propria portavoce come «fosse stato dato preavviso dell'iniziativa», spiegando anche come il tabellone sia stato considerato «una goliardata». Ma questa volta la musica è diversa.
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