Inchiesta su via D’Amelio Archiviate le accuse a Bo

«Una grande soddisfazione, almeno questo dopo anni tormentati. Basti pensare che il fratello di Paolo Borsellino giunse a chiedere la mia espulsione dalla Polizia di Stato, solo perché durante una testimonianza mi avvalsi della facoltà di non rispondere, come suggeritomi dal mio legale in base alle procedure che riguardano i funzionari in tali situazioni». A parlare è Mario Bo, ex capo della Squadra mobile di Trieste e attualmente dirigente dell’Anticrimine a Gorizia.
Il gip Alessandra Giunta, accogliendo la richiesta dei pm, ha archiviato l'inchiesta sui funzionari di polizia accusati di avere fatto pressioni su tre collaboratori di giustizia, poi smentiti dal pentito Gaspare Spatuzza, inducendoli a costruire una falsa verità sulla fase esecutiva della strage costata la vita al famoso magistrato. Si tratta, oltre che di Bo, di Vincenzo Ricciardi ex questore di Bergamo, e di Salvatore La Barbera già in servizio alla Criminalpol.
«Oltre alla sofferenza morale per accuse dimostratesi infondate, ho subito anche conseguenze professionali - continua Bo al telefono -: ora a sei anni dall’iscrizione nel registro degli indagati, posso ripartire».
L’accusa era infatti pesante, dietro l'ipotesi di reato, concorso in calunnia aggravata. Quella di avere, in tale modo, depistato le indagini sulla strage di via D'Amelio a Palermo. L'attentato di stampo mafioso in cui, il 19 luglio del 1992, perse la vita appunto il giudice Paolo Borsellino e nel quale morirono anche cinque agenti della sua scorta, tra i quali il triestino Eddie Walter Cosina. Fra gli uomini in divisa coinvolti nella vicenda giudiziaria e iscritti sul registro degli indagati c'era anche, appunto, l'ex capo della Squadra mobile di Trieste Mario Bo, oggi alla guida dell'Anticrimine a Gorizia.
A oltre cinque anni dalle prime notizie che nel 2010 trapelarono sull'inchiesta (avviata nel 2009), la Procura di Caltanissetta aveva depositato la richiesta di archiviazione per i tre. Ora il gip si è pronunciato a favore degli indagati. Per l'eccidio del 19 luglio di 34 anni fa erano state condannate all'ergastolo sette persone che, scontati 18 anni di carcere, erano state poi liberate su richiesta della Procura generale di Caltanissetta e aspettano la revisione del processo. Era stato il collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza a smascherare Scarantino, facendo luce sulla fase preparatoria dell'attentato al giudice Borsellino, architettato da Cosa Nostra sotto la casa della madre di quest'ultimo: Spatuzza si era autoaccusato e aveva chiamato in causa mafiosi rimasti sino a quel punto impuniti. Nel capoluogo nisseno è poi stato avviato il processo "Borsellino quater", fondato proprio sulle dichiarazioni di Spatuzza che aveva indicato la famiglia e il mandamento mafioso di Brancaccio, guidato dai fratelli Graviano, come protagonisti della strage di via D'Amelio.
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