«In Ungheria abusi e botte sui migranti»
BELGRADO. Come fermare migranti e profughi che tentano irregolarmente di superare i confini di un Paese? Con alte barriere, polizia e guardie sul confine. Con «leggi draconiane» che prevedono solo un esame sommario delle domande d'asilo. E con la violenza durante i respingimenti. È quanto starebbe accadendo da mesi in Ungheria: la denuncia è contenuta nel rapporto firmato da Amnesty International, che conferma precedenti esposti di varie organizzazioni non governative, non ultima Human Rights Watch (Hrw).
Amnesty parla di «trattamento orribile» riservato a migranti e richiedenti asilo che ancora cercano di entrare in Ungheria, una delle tappe della loro odissea verso il Nord Europa. Migranti, «inclusi minori non accompagnati», che patiscono «abusi, violenze, detenzioni e respingimenti illegali» verso la Serbia, se scoperti dalle autorità magiare in una fascia di 8 chilometri dalla recinzione eretta nel 2015 alla frontiera serba e poi estesa a quella croata.
La denuncia - che giunge a pochi giorni dal referendum sulle quote obbligatorie indetto da Budapest - è corroborata dalle testimonianze di oltre 140 persone. C’è chi, come un’anziana coppia di afghani, è rimasto bloccato per settimane in una delle due «zone di transito» tra Serbia e Ungheria, attraverso le quali le autorità di Budapest ammettono solo 30 richiedenti asilo al giorno.
«Siamo malati, mia moglie è arrivata qui da Belgrado su una sedia a rotelle, attendiamo da 22 giorni e niente fa pensare che passeremo il confine domani», hanno detto. «Scappiamo dalla guerra, perché ci trattano come animali?», ha chiesto un altro profugo. Un ragazzino siriano ha ammesso di «sperare di non trovarmi qui, tra gente che non ci vuole».
Peggio va di solito a chi sceglie le vie illegali – trafficanti o un buco nella recinzione e poi la fuga nell’ignoto - invece di attendere nelle zone di transito, piccole Idomeni dove però i profughi in attesa sono sempre meno, consci che dai due angusti varchi passano solo pochi eletti, in gran parte famiglie. Erano più di un migliaio a luglio, «sono meno di 150» ora, secondo l’ufficio Onu a Belgrado.
Tra quelli che hanno cercato di evitare l’attesa tentando il passaggio illegale, un afghano di 17 anni, che ha raccontato che nel gruppo in cui viaggiava un giovane «è stato preso a calci dalla polizia, gli hanno rotto un piede». Altri, scrive Amnesty, hanno riferito di casi in cui la polizia avrebbe impiegato «bastoni» o sguinzagliato «cani» contro i profughi. Insomma, l’Ungheria avrebbe «sostituito lo Stato di diritto con lo stato di terrore», ha rimarcato John Dalhuisen, numero uno di Amnesty in Europa.
Accuse, quelle di Amnesty, che con alta probabilità saranno respinte con sdegno da Budapest, come già accaduto quando Hrw aveva parlato di «uso eccessivo della forza» e di migranti bastonati e ricacciati in Serbia dalla polizia ungherese. Budapest però per ora è più impegnata a mobilitare l’opinione pubblica in vista del referendum di domenica. Referendum, come si diceva, attraverso cui i magiari saranno chiamati a rispondere alla domanda se vogliano o meno «che l'Ue possa ordinare l'insediamento obbligatorio di cittadini non ungheresi anche senza il consenso del Parlamento ungherese».
La vittoria del no, sostenuta dall’esecutivo e dalla sua «campagna xenofobica» - parola di Amnesty - con cartelloni e volantini dove si azzardano paragoni tra migrazione e terrorismo, è scontata. Lo è un po’ meno il raggiungimento del quorum. Secondo i più recenti sondaggi, come quello del Republikon Intézet, il 73% dovrebbe votare no, solo il 4% sì. E un 48% ha risposto che andrà sicuramente a votare domenica, una percentuale che accentuerà l’ottimismo del governo.
Comunque vadano le cose, il premier Viktor Orbán ha assicurato che Budapest mai accetterà le quote. Non può farlo, perché l’Ungheria contribuisce già alla solidarietà tra Paesi Ue, in testa Austria e Germania, «con la protezione del confine». A tutti i costi.
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