In un libro le otto "Lezioni di storia" del Verdi
Si intitola “I giorni di Trieste” il libro, pubblicato dagli Editori Laterza, che raccoglie le otto lezioni di Storia che sono andate in scena, con strepitoso successo, tra la fine del 2013 e l’inizio del 2014 al teatro Verdi di Trieste. Nel volume sono contenuti i testi delle lezioni tenute, con grandissimo successo, al teatro Verdi di Trieste da Giusto Traina, Paolo Cammarosano, Luigi Mascilli Migliorini, Simona Calorizi, Mario Isnenghi, Quirino Principe, Marta Verginella e Raoul Pupo.
Anticipiamo l’introduzione di Paolo Possamai intitolata “Va in scena l’agnizione di Trieste, a teatro”.
Un processo di agnizione, ossia di riconoscimento. Tale si è manifestato il ciclo delle lezioni di storia "I giorni di Trieste". Parliamo propriamente dell'itinerario per cui, nelle opere teatrali e letterarie, avviene la rivelazione dell'autentica identità di un personaggio, identità scientemente occultata e la cui emersione determina un radicale mutamento dell'intreccio. Ce lo insegna il poligrafo ferrarese Giambattista Giraldi Cinzio nel suo "Discorso intorno al comporre delle commedie e delle tragedia" (1543). Assai segnata da una vena tragica, la vicenda della identità di Trieste, ma nient'affatto priva di tratti di comicità involontaria la sua narrazione.
Per una bizzarria degli eventi, il disvelamento della identità di Trieste è accaduto a teatro, poiché le nove Lezioni sono andate in scena al Verdi. Di svelamento diciamo, in quanto l'identità di Trieste ci è stata consegnata quanto mai contraddittoria e anzi plurima. Velata, camuffata, manipolata, adattata al racconto a seconda degli obiettivi e del pubblico ricercato dal narratore e dal committente, volta a volta differenti a seconda dei cambi di reggitori politici. Ne deriva la composizione caleidoscopica dell'immagine di Trieste, fascinosa anche perché sfuggente, mutevole, cangiante.
La Storia, essendo stata a Trieste e su Trieste campo di battaglia politica e piegata agli interessi di parte, non è "una" (ammesso che mai possa esserlo). Non luogo di incontro e di riconoscimento (agnizione) delle altrui ragioni e identità, ma piuttosto terreno di scontro e rivendicazione di sè (per contrasto). Uno dei maestri degli "Annales", Georges Duby, riferendosi al veleno dei nazionalismi come l'inchiostro principe della Storia deformata, ammoniva sul fatto che «comporta sempre una manipolazione del ricordo, della memoria storica, con la conseguenza di arrivare a dei controsensi, rispetto a ciò che insegnano le fonti».
Vi voglio proporre, al riguardo, un esempio semplice e di immediata evidenza, su cui converrà tornare per più puntuali e approfondite indagini. Parlo della toponomastica triestina, che è specchio impressionante dello smarrimento di identità, di senso, di orientamento cui Trieste è andata soggetta negli ultimi due secoli. Una città racconta se stessa, la propria storia in primis attraverso i nomi di piazze, strade, luoghi pubblici, palazzi. A Venezia, con le doverose eccezioni risalenti alla retorica patriottica della via intitolata a Garibaldi, del campo intestato a Manin, della calle Larga datata al XXII Marzo, è ancora un "testo" unitario e consente assai di frequente di ricostruire le funzioni originarie della città, i nomi delle famiglie più autorevoli insediate in una zona, la presenza di una comunità strani era, il riferimento di un complesso conventuale. Frezzeria, Spadaria, Caselleria indicano per esempio che lungo queste calli vi erano botteghe e artigiani che facevano frecce, spade, bauli e valigie.
Venezia è in Italia per la toponomastica il "testo" più accuratamente conservato, Trieste il documento più lacerato, manomesso, compromesso. Torquato Accetto scriveva nel 1641 che «da che ’l primo uomo aperse gli occhi, e conobbe ch’era ignudo, procurò di celarsi anche alla vista del suo Fattore». Il grande trattatista barocco, amatissimo da Benedetto Croce, scrive "della dissimulazione onesta", invece nel caso della storia di Trieste possiamo per converso dire della simulazione disonesta. Disonesto è stato, appunto, il processo di mutare il nome di vie e piazze a ogni cambio di stagione politica, fino a smarrire del tutto la proporzione e la consistenza dei fatti, dei protagonisti, dei miti.
Non è da credere che nulla sia accaduto per fatalità o per inconsapevolezza, nel racconto partigiano e parziale e ciclicamente ri-adattato della storia di Trieste. Ma che le Lezioni promosse dall'amministrazione comunale, con Laterza e il Piccolo, e con il sostegno economico di Hera-Acegas, abbiano incontrato un interesse tanto vasto e profondo, episodio a suo modo del tutto straordinario in Italia, implica che abbiano suscitato curiosità. "Il" cittadino di Trieste che per nove domeniche con asburgica pazienza ha atteso in fila di entrare a teatro, aveva in effetti con sè la curiosità. Parola che - insegnano i latini - contiene già una domanda: «cur?» ossia «perché?».
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