In transito o barricati negli hangar: i due mondi dei migranti nel Porto Vecchio di Trieste
I racconti di chi è solo di passaggio: «Edifici occupati da gruppi stanziali, è pericoloso pure per noi»
Il migrante si avvicina a piedi tra i cantieri del viale monumentale, si fa strada tra le transenne e i cumuli di ghiaia. All'inizio del corridoio di magazzini c'è una fontanella ricavata dalle imprese in servizio, poca acqua fatta uscire da un tubo di plastica che però basta per lavarsi il viso, i piedi, riempire una borraccia. «Non c'è altro posto in cui stare», dice Haamed, ventenne afghano.
Fin dal primo mattino
A quell'ora del mattino le ditte sono impegnate in altri punti del Porto Vecchio di Trieste e così si può approfittare per entrare e uscire dai magazzini, fare rifornimento d'acqua. Haamed ha appuntamento per presentare richiesta di asilo e tenta di lavarsi i capelli in un pentolino.
Ho dormito nell'hangar per due notti, lì dentro era pericoloso
racconta indicando l'edificio 4, ma ora spera di ricevere un posto in dormitorio.
Più di cento migranti nello scalo
In pochi minuti il tratto iniziale del viale monumentale si popola di altri profughi come lui acquartierati nello scalo. Ragazzi e ragazzini con la tuta rattoppata e lo zainetto in spalla, stabilitesi abusivamente nei magazzini o accampati sotto la pensilina delle corriere. Tra i corridoi di hangar sembra esserci almeno un centinaio di migranti, ma contarli tutti è difficile. I numeri si perdono in oltre sessantasei ettari.
Il sindaco Dipiazza: «li mandiamo via»,
Il fenomeno è noto alle istituzioni, al Comune che è proprietario dei locali sdemanializzati, alle forze dell'ordine che pattugliano la zona e alle imprese edili impegnate nello scalo. Alcune settimane fa un capocantiere è stato aggredito con un sasso, alla cronaca ci sono episodi di violenza efferata tra i migranti stessi. In largo Santos si incontrano quattro militari che consigliano la massima attenzione nello scattare fotografie. Meglio non farsi vedere con la reflex in mano.
«Li mandiamo via», assicura il sindaco Roberto Dipiazza, che nelle scorse settimane aveva preannunciato un'ormai imminente «misura radicale» per liberare i magazzini. Il primo cittadino non entra nei dettagli, ma tutto indica di un'operazione simile a quella attuata per lo sgombero del Silos, o un trasferimento di massa dei richiedenti asilo verso altre città. «È questione di giorni», si limita a dire Dipiazza.
Molti sono solo di passaggio
È vero anche che non tutti i migranti arrivati in Porto Vecchio sono in attesa di accedere al circuito di accoglienza. In molti sono solo di passaggio, si fermano solo una notte o due, e con il Silos chiuso e i dormitori tutti pieni non resta loro che riposare all'addiaccio. La tettoia di largo Santos si è trasformata in un accampamento di fortuna. Una distesa di sacchi a pelo, teli termici, cassette della frutta e buste dell'immondizia con dentro i pochi averi conservati nel cammino.
L’attesa della richiesta d’asilo
Molti altri invece attendono un letto nel centro della Prefettura a Campo Sacro, che però è a metà capienza e quindi tra la richiesta di asilo e l'accesso alla struttura possono passare anche giorni.
Cerco un lavoro per mandare i soldi ai miei figli
racconta Saiful, trentenne bengalese attualmente ospitato nell'ex Ostello scout.
Prima però ha trascorso tre settimane riparandosi sotto i varchi monumentali. Il periodo in strada non è stato semplice: la pensilina degli autobus sembra ormai un piccolo Silos a cielo aperto, con cumuli di sporcizia e nessuna distinzione tra i punti in cui si dorme, in cui si mangia o in cui si fanno i bisogni. Le condizioni igieniche lì sono drammatiche.
La notte nello scalo
Poche notti fa hanno iniziato a lanciarci sassi addosso, a urlarci: andate via
testimonia Sherajul, anche lui bengalese, indicando gli hangar dell'ex Greensisam. In quell'area, racconta, tutti gli edifici sono stati occupati da piccoli gruppi di profughi. Ma si tratta di persone perlopiù stanziali, che non intendono entrare in un centro e anzi hanno scelto i fabbricati più isolati per non essere rintracciati dalle autorità.
Nascosti nei magazzini
Hanno montato tende e fortini nelle guardiole dei multipiano, allestito piccole cucine. Imbrattato i muri è stabilito delle norme non scritte, apparentemente divisi per provenienza. Alcuni hanno fatto amicizia. Li si scorge tagliarsi i capelli a vicenda sui porticati degli hangar, oppure improvvisare una grigliata sul primo moletto, giocare a pallone.
La convivenza non semplice
Per altri la convivenza non è semplice. Non sono mancati diverbi poi sfociati in risse, o pestaggi, altre attività attenzionate dalle forze dell'ordine.
Lì dentro è pericoloso, è meglio non avvicinarsi
raccomanda Sherajul. In particolare nei magazzini 3 e 4, tra i più frequentati, dove si vedono panni stesi ad asciugare, lattine di energy drink e cocci di vetro abbandonate all'ingresso. E poi l'hangar 2, da cui non di rado gli altri migranti sentono arrivare urla durante la notte.
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