In Montenegro proteste di massa contro la legge sulla religione
BELGRADO. Una vera resistenza passiva di popolo, una rivoluzione silenziosa e pacifica che continua a riorganizzarsi e a mobilitarsi nelle chiese, nei monasteri, nelle piazze e lungo le strade del Paese, mentre la classe politica al potere resta sorda. È lo scenario nel piccolo Montenegro, dove non si intravede la fine delle proteste di massa dei fedeli ortodossi e dei membri della minoranza serba – quasi un terzo della popolazione totale – contro la controversa legge sulle libertà religiose, approvata a dicembre, che secondo i critici potrebbe sfociare nella confisca delle proprietà ecclesiastiche ortodosse da parte dello Stato.
I fedeli continuano a scendere in piazza in particolare il giovedì e la domenica sera ma non solo, con decine di migliaia di persone che l’altra sera hanno marciato ostentando croci, icone, preziose antiche reliquie a Podgorica, Budva, Herceg Novi, Tivat, Kotor e in altre decine di località più piccole per chiedere il ritiro di una legge «discriminatoria» e «anti-cristiana», l’ha bollata con durezza la Chiesa ortodossa serba.
Ancora più severo è stato il metropolita del Litorale, Amfilohije, che ha apertamente accusato il governo montenegrino di aver «accolto con tutti gli onori Hashim Thaci», il presidente kosovaro che avrebbe «permesso la distruzione di 150 chiese» serbe in Kosovo, mentre la polizia di frontiera «perquisisce» monaci e preti ortodossi in entrata dalla Serbia.
«Il nostro metropolita, la nostra forza» e «non abbandoniamo i luoghi sacri», ha risposto la folla – decine di migliaia nella sola Podgorica, secondo i media serbi, 50 mila a livello nazionale secondo stime locali - gli slogan più ascoltati durante le proteste di queste settimane. E «abbiamo anche il sostegno di Berlino, Parigi, Londra, del Papa e dei nostri fratelli musulmani», ha sostenuto Amfilohije.
Proteste che, se non fanno cambiare rotta al governo e al più fiero sostenitore della controversa legge, il presidente Milo Djukanović, inquietano anche l’Ue. Lo suggeriscono le parole del neo-commissario all’Allargamento, Oliver Varhelyi, che in visita a Podgorica ha sottolineato che «il mondo vi guarda» invitando sostenitori e critici delle norme al dialogo.
«Siamo interessati al dialogo e a trovare una soluzione che sia accettabile per tutti», ha aggiunto il commissario Ue. Bene che Bruxelles abbia annunciato di «seguire la situazione» in Montenegro, ha commentato da parte sua la premier serba Ana Brnabić. Confronto sì, ma «non ci sarà nessuna sospensione della legge» - come auspica da tempo la Chiesa serba - ma solo generici «colloqui sulle questioni sul tappeto con il metropolita ortodosso», ha però chiuso subito il premier montenegrino, Dusko Marković.
Ossia: le norme rimangono in vigore, al limite si potrà discutere sulle «migliori soluzione per l’implementazione degli articoli 62-54 della legge», quelli che regolano il diritto di proprietà degli immobili ecclesiastici, ha specificato il ministro della Difesa montenegrino, Predrag Bosković. Che ha al contempo avvertito che Podgorica «non tollererà un’escalation delle proteste di piazza» o «conflitti» violenti, magari fomentati dall’opposizione filoserba.
Ma Podgorica dovrebbe forse temere anche un “nemico” interno, un’opinione pubblica che pare guardare con sospetto alla legge. Secondo un sondaggio dell’agenzia Intelligence Communications, oltre il 60% dei montenegrini è contrario alle norme sulla possibile confisca dei beni delle Chiese, una percentuale ben più alta del 30% che rappresenta la minoranza serba.
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