In Italia il calcio femminile nacque a Milano in pieno regime fascista

Era il 1933 quando, in pieno regime fascista, venne fondato a Milano il "Gruppo femminile calcistico", primo club di donne felici di prendere a calci un pallone. Le ragazze scendevano in campo con...

Era il 1933 quando, in pieno regime fascista, venne fondato a Milano il "Gruppo femminile calcistico", primo club di donne felici di prendere a calci un pallone. Le ragazze scendevano in campo con addosso ampie gonne. Il Comitato olimpico, gestito da maschi, giudicò questa attività sportiva "indecente" e le esibizioni pubbliche delle calciatrici furono vietate.

Le competizioni femminili ripresero nel 1946 proprio a Trieste che all'epoca faceva parte del Territorio Libero, gestita dalle autorità militari americane e britanniche. In città sorsero due squadre femminili: la Triestina e Le Ragazze di San Giusto. Il calcio femminile si diffuse poi in tutta la penisola, tant’è che si arrivò alla fondazione della Federazione Femminile Italiana Gioco Calcio. Attualmente la sua diffusione in Italia è ampia, ma non è paragonabile al resto d’Europa. Nel nostro Paese, infatti, vi è un pesante ostacolo culturale. Il calcio viene considerato da molti uno sport maschile.

Di questa opinione è anche il presidente della Federazione internazionale Joseph Blatter che in un’intervista ha detto che il calcio è uno sport molto "macho" e per questo è difficile accettare che le donne scendano in campo in calzoncini, maglietta e scarpini "bullonati". La gente associa spesso il calcio alla fisicità, alla cattiveria e alla grinta agonistica e perciò lo collega solo agli uomini.

Per le donne, secondo una serie di pregiudizi difficili da scalzare, sono indicati sport privi di contatti fisici e possibilmente senza rischio di infortuni. Eppure in America il calcio femminile è seguito più di quello maschile... Certo è che in Italia vigono ancora vecchi e inutili stereotipi, che inducono a pensare che le donne non solo non possono parlare di calcio, ma non sono nemmeno in grado di giocarlo.

Sicuramente c'è qualcosa che non va nella nostra società, dato che a pensarla in questo modo arretrato e discriminatorio è anche Carlo Tavecchio, attuale presidente della Federazione gioco calcio, che ha espresso questi giudizi in un'intervista a "Report" poco prima della sua elezione. Le sue esatte parole furono: "Finora ritenevamo che la donna fosse un soggetto handicappato rispetto al maschio, sulla resistenza, sul tempo e sull'espressione atletica".

Bisognerebbe sicuramente cambiare un po' questa mentalità maschilista e cominciare a sostenere questo sport a partire dalle scuole. Inoltre è anche importante accentuarne gli elementi positivi che riguardano soprattutto il campo dei valori. Nel calcio femminile, infatti, c'è molto rispetto per l'avversario e per l'arbitro e non a caso non esiste il razzismo. Devono finire anche i pregiudizi sulle donne, così come deve tramontare l'idea che ci siano ruoli e compiti che spettano solo alle donne e altri solo agli uomini. In caso contrario la parità dei diritti tra uomini e donne sarà davvero difficile da raggiungere. Non esistono sport da donne e sport da uomini, come non esistono lavori da donne o lavori da uomini. Esistono attitudini e predisposizioni che vanno al di là del genere maschile o femminile.

Chiara Massarotto

IV E liceo classico

Francesco Petrarca

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