In Fvg 9mila doppiette prendono la mira
TRIESTE. Si comincia a sparare sul serio: si è aperta stamattina la nuova stagione venatoria in Friuli Venezia Giulia. La terza domenica di settembre segna tradizionalmente per i quasi 9mila cacciatori regionali la possibilità di mettere nel mirino una trentina di specie, dopo che dal 15 maggio è stato consentito prelevare (come si dice nel linguaggio specialistico) i soli ungulati. L'11 settembre è già cominciata la caccia al capriolo, ammessa fino al 5 novembre, mentre quella al camoscio sarà aperta dal 15 ottobre al 15 dicembre. L'attività venatoria prevede una rigida suddivisione. Dal 1° settembre il permesso di prelievo si è allargato a quaglie e tortore, fino al 10 dicembre. Per un mese in più, dovranno guardarsi dall'essere impallinati alzavole, beccaccini, colombacci e marzaiole. Con oggi le possibilità si ampliano: fino al 31 dicembre sarà lecito cacciare allodole, conigli, lepri, merli, pernici e starne, mentre ci sarà un mese di tolleranza ulteriore per beccacce, canapiglie, codoni, germani, cornacchie, fagiani, fischioni, frullini, gallinelle d'acqua, gazze, ghiandaie, mestoloni, pavoncelle, porciglioni, tordi e volpi. Una finestra più limitata, dal 1° ottobre al 30 novembre, è infine quella relativa a cervi e coturnici. Molto sentita è la questione dei cinghiali, prelevabili nel periodo compreso fra 1° settembre e 31 dicembre. Il suino selvatico prolifera da anni nei boschi del Fvg e sono sempre più frequenti gli avvicinamenti ai centri abitati, dove gli animali trovano perfino chi li alimenta: una pratica perseguita penalmente. Le conseguenze vanno dagli incidenti stradali alla distruzione delle colture: il presidente di Coldiretti Fvg, Dario Ermacora, invoca da tempo «l'aumento dei prelievi e l'eradicazione da alcune aree». Secondo il presidente di Legambiente Fvg, Sandro Cargnelutti, la caccia non è tuttavia la soluzione ma il problema: «I cacciatori hanno liberato molti animali e li foraggiano: la regione è un grande allevamento a cielo aperto. Sono poi gli stessi cacciatori a quantificare i capi, abbassando i censimenti per ridurre i numeri da abbattere ed essere certi di averne anche per gli anni successivi». La Regione stabilisce la quantità di animali prelevabili sulla base delle decisioni dei 15 distretti venatori regionali, a loro volta formati da 237 riserve di caccia, gestite appunto dai cacciatori e incaricate di censire ogni anno le specie sul proprio territorio. Le ultime cifre ufficiali parlano di 8.500 camosci di cui 590 prelevati annualmente, 26mila caprioli cacciati fino a 3.800, 9mila cervi prelevati in mille unità, 4.800 cinghiali in 2.500 unità, circa 36.500 lepri in 7.100 unità. Secondo Cargnelutti, «bisogna portare la caccia alla legittimità: la Corte costituzionale dice che nelle riserve debbano essere rappresentati anche agricoltori, enti locali e ambientalisti, ma in Fvg non è così. La caccia è compatibile con l'ambiente, se gestita in modo scientifico, ma il settore è fuori controllo e ci sono troppe libertà». Il presidente di Federcaccia Fvg, Paolo Viezzi, si difende: «La caccia rappresenta un elemento di regolazione delle specie dannose: la selezione naturale non basta. Il censimento nelle riserve è preciso ed è la base per ogni valutazione scientifica, nonché gratuito». Viezzi critica il Piano faunistico regionale, «basato su dati vecchi: i piani di abbattimento sono esagerati in alcune zone e in difetto in altre. Ci sono limitazioni ridicole e moraliste». L'assessore Paolo Panontin aspetta la chiusura della stagione (31 gennaio) per mettere mano alla questione, ma il rapporto con Federcaccia è teso e la presidente Debora Serracchiani pare intenzionata a occuparsi da vicino della questione: all'ultimo incontro organizzato da Federcaccia, la governatrice ha preferito presenziare di persona, esautorando di fatto l'assessore competente.
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