In fila con occhi bassi e anellini d’oro in tasca: «Vado a impegnarli per pagare le bollette»
TRIESTE. La catenina del battesimo. Il bracciale regalato dalla nonna. Persino le fedi nuziali. In momenti difficili come questi c’è chi è costretto a rinunciare anche ai ricordi più cari pur di racimolare qualche decina di euro, denaro necessario a fare la spesa e pagare una bolletta. Da settimane a Trieste in via Battisti di fronte alla sede di Affide –-la società che fa credito su pegno e ha ereditato l’attività di quello che fu il Monte di Pietà - si firma una fila silenziosa di persone, rispettose delle distanze di sicurezza. Una delle tante tristi fotografie che raccontano l’impatto del coronavirus sulle vite, e sulle tasche, dei triestini.
Già alle 8 del mattino, uomini e donne con la mascherina indossata sul volto attendono il loro turno. Sguardi bassi, sfuggenti ed espressioni contrite accomunano le persone in coda. Alcune, forse, già in precedenza in grosse difficoltà economiche. Altre molto probabilmente messe in ginocchio nelle ultime settimane da un’emergenza che rischia di costare il posto di lavoro a migliaia di triestini.
«Mio figlio ha bisogno di un aiuto, - ammette Luciana, 73 anni, ex dipendente delle Cooperative Operaie -. È in cassa integrazione, i soldi non arrivano e deve ancora ricevere lo stipendio di febbraio che il suo titolare non è in grado di pagare. Ha il mantenimento da passare per la mia nipotina di sei anni e per la ex moglie, e non ne veniamo fuori. Io ho la pensione, ma aiuto già l’altra figlia che fa lavori saltuari e ho un affitto da pagare».
Luciana stringe in un pugno due collanine con un ciondolo a forma di goccia, un paio di orecchini con delle perle e una spilla floreale. «Ho raccolto l’oro al quale sono meno affezionata - racconta imbarazzata, ma cercando di non far trasparire quanto le pesi stare in quella fila che, a tutti gli effetti, racconta di una silenziosa povertà -. Intanto lo impegno e poi vediamo se riusciamo a riscattarlo nei prossimo mesi. Siamo una famiglia e ci dobbiamo aiutare. Mio figlio ha fatto richiesta per i buoni spesa oltre un mese fa ma per ora non ha ricevuto nulla».
E mostrando le due fedi che porta al dito, conclude trattenendo le lacrime: «Queste due fedi, la mia e quella del mio povero marito, sono le uniche cose dalle quali non mi separerò mai. Preferisco morire di fame che togliermele».
A contribuire a quella coda in via Battisti, è anche il fatto che buona parte dei Compro oro attualmente è chiusa, e riaprirà assieme agli altri negozi al dettaglio. Una delle catene di questo settore, forte di una licenza di commercio all’ingrosso, ha aperto lo scorso 4 maggio. Ma come funziona il sistema di credito su pegno o credito su stima? Affide - la società nata dalle ceneri di “Custodia Valore” che lo storico gruppo austriaco Dorotheum ha rilevato da Unicredit -, pochi mesi fa ha acquisito anche il ramo d’azienda InPegno per 38 milioni di euro dal gruppo bancario CreVal. Quella che fu l’attività del vecchio Banco dei Pegni della storica sede di via Silvio Pellico, dunque, ora si svolge in via Battisti.
Chi necessita di contanti, impegna lì un oggetto di valore e, al netto dei diritti di custodia, riceve i soldi e una polizza relativa al valore stimato del pegno con validità di 3 o 6 mesi. Se la polizza non viene rinnovata, e quindi il prestito prolungato, e l’oggetto non viene riscattato previa estinzione del finanziamento, la catenina, l’orologio o il ricordo di un affetto finiscono all’asta nelle sedi della società predisposte per questa attività: a Roma in piazza del Monte di Pietà o a Palermo in via Borrelli.
Scorrendo le immagini dei preziosi che verranno battuti all’asta il prossimo 11 maggio – pochissimi di questi vengono per ora indicati come riscattati – si raccolgono i frammenti di vita di migliaia di cittadini: piccoli orologi con il cinturino in oro, croci e ciondoli con l’effige della Madonna, catenine anche di scarso valore, anelli, sterline d’oro e diverse fedi nuziali. «Le polizze scadute e non rinnovate da gennaio 2020 non verranno messe all’asta fino alla fine dell’attuale emergenza sanitaria, - indica la società -. È possibile effettuare il rinnovo in circolarità presso le filiali Unicredit».
A livello nazionale Affide registra un aumento delle richieste dal 30 al 50%, con molti nuovi clienti. A Trieste in questi giorni ad attendere all’esterno dell’unica sede in regione della società che fa credito su pegno, ci sono molti anziani, più donne che uomini, ma anche diverse persone tra i 35 e 50 anni. «Prima dell’emergenza non c’era mai tanta gente, - testimonia il titolare di un negozio in quel tratto di via Battisti -. Entrava una persona ogni tanto. Forse alcuni pensavano fosse una finanziaria e non, in pratica, il Monte di Pietà. Li guardo in fila e mi fanno una pena immensa. Appena si accorgono del mio sguardo, lo volgo altrove per non imbarazzarli. Forse - commenta - potevano scegliere una sede al piano o in un punto della città meno visibile per garantire maggior privacy».
Ieri mattina il pudore di alcuni nel sostare davanti all’ingresso di quell’agenzia era evidente. Tentavano di rendersi meno visibili sostando dietro all’edicola chiusa o ad un furgone parcheggiato accanto. «Ho in tasca 70 euro, - racconta il quarantenne Vojko mentre tiene stretta tra le mani una borsa con gli oggetti da impegnare -. Finora con lavoretti qua e là ne venivo fuori, ma ora è tutto più complicato e io non ho diritto alla cassa integrazione. Mia mamma è morta lo scorso anno e mi ha lasciato degli anelli e alcuni soprammobili in argento che a me non servono. Ora che sono senza soldi provo a vedere quanto mi danno».
«Adesso che sono stati riaperti i cantieri ho chiesto aiuto ad un impresario che mi faceva spesso lavorare come imbianchino, ma anche lui ora è in difficoltà. Mi ha indicato lui questo posto, spiegandomi che se poi trovo i soldi posso anche riavere questi oggetti, e chissà che un domani io non vinca al Superenalotto e mi ricompri tutto».
Molti, comprensibilmente, non vogliono raccontare la loro storia. Altri accennano solo poche parole. «Questa è la fila dei disperati, altroché, - sostiene una ragazza che dice di chiamarsi Irene –. Di quei disperati che non interessano a nessuno. Io lavoravo in una cucina e adesso sono a casa con una madre con la pensione minima e un affitto da pagare. I buoni della spesa non mi sono arrivati, un’associazione ci ha dato una mano per acquistare beni di prima necessità, - spiega - ma per venirne fuori mi tocca vendere qualche pezzo d’oro, quel poco che mi resta visto che mi sono già venduta tutto. Poi non ci resterà che chiedere la carità».
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