In Ferriera vince il sì all’accordo con Arvedi. Più vicino lo stop all'area a caldo

Lo schema d’intesa impostato a Roma con l’azienda passa con 277 voti a favore e 192 contrari. Incognite su esuberi e fondi pubblici
Lavoratori della Ferriera alle urne (Bruni)
Lavoratori della Ferriera alle urne (Bruni)

TRIESTE Con 277 voti a favore e 192 contrari, i lavoratori della Ferriera di Servola hanno deciso di dare il via libera allo schema di intesa impostato a Roma da sindacati e gruppo Arvedi. Il 59% dei 513 dipendenti aventi diritto (i tempi determinati non sono stati ammessi al voto) ha sposato la prospettiva della riconversione voluta da ministero dello Sviluppo economico, Regione e Comune. Il beneplacito delle maestranze autorizza dunque la firma e subito dopo toccherà ad azienda, istituzioni e Autorità portuale siglare quell’Accordo di programma che i rappresentanti dei lavoratori chiedono contenga tutte le garanzie sulla promessa assenza di esuberi.

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Una veduta della Ferriera (Silvano)


Le urne si sono chiuse alle tre di ieri pomeriggio e il risultato è arrivato meno di un’ora dopo. Terminano con la vittoria del “sì” i tre giorni di votazioni indetti da sindacati per un referendum segnato da una forte conflittualità interna e senza che in questi mesi si sia registrata una singola giornata di sciopero. La Rsu della Ferriera non è riuscita a mantenere una posizione unitaria e i rapporti tra le sigle sono andati sfilacciandosi in un ping pong di accuse reciproche. La Cgil Fiom ha sostenuto la posizione del “no”, dopo aver abbandonato il tavolo del Mise e aver condotto una dura campagna contro un accordo che secondo il sindacato di sinistra non contiene sufficienti tutele per i lavoratori. Schierati per il “sì” al documento erano invece Fim Cisl, Uilm, Failms e Usb. Bisognerà ora capire se ci sarà un ricompattamento in vista di una firma che verrà apposta ad ogni modo anche dalla Fiom.

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Il voto è stato orientato anche da importanti pressioni provenienti dall’esterno. Come nel caso dell’impegno del ministro Stefano Patuanelli per l’assunzione degli esuberi da parte di Fincantieri: annunciata non a caso alla vigilia del voto, la prospettiva sarà rafforzata nelle prossime settimane da un protocollo siglato dal gigante dei cantieri e dalla Regione. Impattante è stato pure il comunicato diramato dal gruppo Arvedi dopo un’assemblea dei lavoratori così tesa da aver fatto credere agli stessi sindacalisti che il “no” avrebbe prevalso: la proprietà specificava che la chiusura dell’area a caldo sarebbe arrivata anche in caso di bocciatura dell’accordo sindacale, con l’aggravante per i lavoratori di dover rinunciare alle forme di tutela previste nel patto e di potersi affidare solo all’eventuale trasferimento nel sito produttivo di Cremona.

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Foto BRUNI 12.09.2018 Ferriera:forno a cado e nuovi piazzali-relatori Alessandra Barocci-Alessandro Casula e Renato Crotti


Il “no” avrebbe effettivamente significato navigare in mari sconosciuti, perché la bocciatura dell’intesa non avrebbe costretto l’azienda a sedersi nuovamente al tavolo e perché Regione e Comune hanno sempre detto di essere disposti a firmare l’Accordo di programma solo in presenza dell’accordo preliminare fra azienda e lavoratori. Con il “sì” i dipendenti della Ferriera spianano la strada alla chiusura dell’area a caldo: una prospettiva certo non voluta, ma vissuta da operai e impiegati con speranza, dopo le ripetute promesse di una riconversione industriale e logistica capace di non lasciare per strada nemmeno un dipendente.

L’accordo sindacale recepisce i quattro pilastri del piano industriale, riportati anche nell’Accordo di programma: smantellamento e bonifica dell’area a caldo, rilancio della logistica, riconversione a metano della centrale elettrica e potenziamento del laminatoio con aggiunta dei reparti di zincatura e verniciatura, nonché possibilità di installare una linea di ricottura. La riconversione dovrebbe durare 24 mesi e richiedere un investimento da 180 milioni, cui potranno aggiungersene 50 in caso si decida di realizzare il forno di ricottura. Al termine dell’operazione, i lavoratori di Servola passeranno da 580 a 417: per 66 di essi si procederà con trasferimenti in aziende terze o in altri siti produttivi del gruppo, 58 verranno prepensionati e per i restanti 39 sono previste uscite volontarie con incentivi, a meno che l’impianto di ricottura non ne garantisca l’assorbimento. Per tutti scatteranno nel frattempo 24 mesi di cassa integrazione a rotazione, che l’azienda si è impegnata a maggiorare con 346 euro lordi, assicurando inoltre un’integrazione economica per i pensionandi pari a 1. 175 euro lordi ogni mese di Naspi e un incentivo all’uscita da 28 mila euro lordi per chi volesse lasciare il posto di lavoro.

Per arrivare alla definizione del quadro ci sono tuttavia parecchie cose da chiarire. L’intesa sindacale richiama infatti esplicitamente gli impegni delle istituzioni a garanzia dell’occupazione: questi dovranno essere messi nero su bianco in un Accordo di programma, che allo stato attuale non contiene però tre passaggi fondamentali. Si tratta della definizione operativa e finanziaria del nodo bonifiche, delle risorse che governo e Regione intendono stanziare per il rilancio e dell’esito delle trattative tra Arvedi e Autorità portuale per l’acquisizione da parte di quest’ultima dei terreni dell’area a caldo, che dovrebbero essere usati per la creazione di un terminal ferroviario a servizio della Piattaforma logistica, di cui non è tuttavia ancora chiaro il futuro.

I sindacati mettono inoltre in dubbio le modalità di assorbimento della manodopera in eccesso da parte di Fincantieri, che potrebbe dover assumere oltre un centinaio di persone, tra tempi determinati in scadenza a gennaio e una quarantina di lavoratori impiegati nella bonifica ma non previsti nell’organigramma finale. Non è chiaro se le maestranze verranno reclutate direttamente oppure nell’indotto, né rassicura il trattamento dei dipendenti ex Eaton per i quali era stato previsto lo sesso iter, non ancora concluso. Senza dimenticare che il passaggio alla Cln di San Giorgio di Nogaro potrebbe essere rallentato dalla necessità per l’impresa di acquisire permessi ancora non rilasciati. —


 

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