«In coma mi sentivo sempre presente»
Nel ’98 Leonardo Riccioli ebbe un incidente in moto. La svolta in una clinica di Innsbruck
TRIESTE Il triestino Leonardo Riccioli, 27 anni, dopo un grave incidente in motorino, il 20 maggio 1998 era rimasto in coma. «È gravissimo. È in coma irreversibile ed è in pericolo di vita», avevano fatto sapere alla famiglia i medici che lo seguivano. I sanitari avevano anche chiesto ai genitori di autorizzare l'espianto degli organi. Ma la speranza, il destino e la forza di chi gli voleva bene hanno voluto che superasse quel critico periodo. Oggi il giovane sta benissimo. Lavoro a parte, la vita gli sorride. I questi giorni studia per affrontare un concorso pubblico in Regione. La tua vita ha avuto un epilogo diverso da quella Eluana. In questi anni, centinaia di persone che si trovano ad assistere un parente in coma ti contattano per conoscere il tuo percorso e, spesso, per trovare quel filo di speranza al quale aggrapparsi. Oggi come ti avvicini a casi come quello della Englaro? «Di fronte a casi come quello di Eluana mi sento in debito perché io ce l'ho fatta. Se rifletto sul fatto che, malgrado pochi mesi di coma e dopo tanti anni dal mio risveglio, porto ancora i segni delle piaghe da decubito, non oso immaginare come sia ridotta quella povera ragazza dopo 17 anni. Le situazioni non sono paragonabili e per giudicare le prese di posizione del padre bisognerebbe trovarsi nei suoi panni, ma credo sia giusto lanciare un messaggio di speranza a chi si trova accanto una persona in coma. Le notizie di questi giorni possono spaventare: invece è giusto sperare».
Dopo un mese e mezzo dall'incidente Leonardo non mostrava alcun miglioramento. Assente. Dimagrito fino a raggiungere i 36 chili, aveva riassunto la posizione fetale. Ma nel luglio del '98 arrivano i primi timidi segnali di risveglio, o almeno come tali li interpretò il luminare austriaco Beiamer. La famiglia decide di ricoverarlo a proprie spese nella clinica universitaria di Innsbruck. E lì avviene il miracolo. Cosa ricordi di quei giorni? Di quel risveglio? «Del periodo del coma non ricordo molto, ma la sensazione è di essere stato sempre presente. Del tempo passato a Cattinara i miei parenti ricordano l'atteggiamento umano dei medici Berlot e Senna e della loro équipe. Ma senza la fede e la determinazione dei miei oggi, forse, non sarei qui. Guai se si fossero arresi all'impossibilità di un risveglio. Questo non significa che basta l'amore per uscire dal coma, ma lascia a chi soffre un barlume di speranza». I tuoi fratelli, Aurelio ed Elisabetta, raccontano che mentre eri in coma registravano le loro voci che ti incoraggiavano, ti salutavano, con parole dolci ti coccolavano. Poi, assieme alle canzoni dei Doors che tu ami, ti facevano ascoltare tutto con le cuffie. Quanto, quel percorso, ha segnato il vostro rapporto? «Siamo più legati che mai. Io dopo quel fatto sono cambiato, molto. Prima ero un ribelle, uno che voleva andare contro tutto e contro tutti. Ora, anche a detta di chi mi sta accanto, sono estremamente più sensibile. Da allora ho iniziato a dipingere e a scrivere: alcune poesie sono state pubblicate, e con i miei quadri è stata pure organizzata una mostra». Si parla di testamento biologico. Cosa sottoscriveresti nel caso dovessi decidere in proposito?
«Forse prima dell'incidente avrei deciso in modo diverso ma oggi chiederei che non mi venisse mai staccata la spina. Mia madre mi ha regalato il dono della fede e questo mi ha aiutato ma rispetto anche chi, di fronte a situazioni come quella di Eluana, la pensa diversamente: quel padre non è giudicabile». Allora, intorno alla tua famiglia, si venne a creare un catena di solidarietà. «L'Associazione degli Alpini e l'allora CrT avevano aperto un conto a mio favore: è anche grazie a tanta generosità e al sostegno di tanti che i miei hanno avuto la forza di attaccarsi a una fiammella di speranza». Recenti notizie fanno pensare che gli ultimi giorni di Eluana potrebbero scorrere nella vicina struttura della Pineta del Carso. Questo ti tocca maggiormente? «Se così fosse non mancherò di andare lì per dare un messaggio di vicinanza. Mentre io ero ricoverato ad Innsbruck i miei sono entrati in contatto con decine di casi simili al mio, anche triestini. Alcuni hanno avuto la fortuna di riacquistare un vita normale coma la mia. Altri hanno fatto piccoli miglioramenti. Altri "dormono" ancora o non ce l'hanno fatta».
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