In cima al Monte Nero dove il tenente morì contento per il suo Paese

La conquista delle postazioni sul Krn nel giugno del 1915 fu una delle imprese più celebrate del primo conflitto mondiale
La conquista della roccaforte austriaca sul Monte Nero in un disegno di Beltrame
La conquista della roccaforte austriaca sul Monte Nero in un disegno di Beltrame

KRN La piccola finestra del rifugio a Planina Kuhinja che si affaccia sul terrazzino di legno porta i segni dell'umidità di prima mattina. Tela vitrea. La vetta del Krn, il Monte Nero, certamente non doveva rappresentare un sogno per i moltissimi caduti quassù. Musica celebrativa della conquista, canzone del Nero: «[...] traditor della vita mia, ho lasciato la casa mia per venirti a conquistà»". Erronea convinzione rituale, che dall'alto, si comanderebbe meglio.

Paolo guarda le nuvole che oscurano il punto più alto di questa montagna. Tempo di andarsene di nuovo. Le uova di primo mattino, il solito ›aj da rifugio, senza la grappa, ovviamente. E i due piedi che calzano gli scarponi lasciati a riposare la notte si rimettono in moto. Le cinghie dello zaino si caricano sulle spalle le mani. Il dislivello è tanto. La fatica, ciò per cui siamo partiti. Poi il sipario lentamente si alza e ci ritroviamo dentro a fumetti di piovosa umidità, neanche fosse un time-lapse studiato a tavolino. Prati verde scuro. Battaglione Susa, giugno 1915. La conquista del Monte Nero fu descritta, anche e soprattutto dal nemico, come un colpo da maestro. Alice Schanek nel suo Isonzofront: «Giù il cappello davanti agli alpini!». Il dispaccio della XX Divisione Honved non era dello stesso avviso. «[...] cause del successo nemico: inopportuno indebolimento del[LA] fronte già di per sé debolissima, tanto sul Krn che nel settore continuativo. Mancanza di mezzi tecnici, manchevole appoggio dell'artiglieria».

Paolo Rumiz e Nicolò Giraldi
Paolo Rumiz e Nicolò Giraldi

Due piccoli altopiani, a destra del Kožljak, dalla forma semi rotondeggiante. Superato il secondo "panettone", dopo più di un'ora che camminiamo si decide per una sosta. Veloce, quasi impercettibile. Ogni tanto le nuvole spariscono, ogni tanto avvolgono la nostra viandanza, ovattando quel silenzio che a volte dovremmo ascoltare un po' di più. Gli sguardi dal basso verso l'alto, cercando la vetta ed il conseguente riposo. Gracchio alpino saltella davanti a noi. Si sale, ancora ed ancora. Poi il vuoto. Un salto che non sapremmo quantificare. Nel frattempo l'erba lascia spazio alla roccia nuda. Punte di calcare si illuminano non appena la luce del sole riesce ad eludere, anche solo per un istante, la nuvolosa sorveglianza nella quale siamo intrappolati. Prima di mettere piede in vetta, l'ultimo tratto lo fotografiamo a fatica, tra le nuvole biancastre e resti di costruzioni pietrificate dal tempo.

E il giovane Rommel prese migliaia di italiani con un pugno di uomini
Soldati italiani a Tolmino. La prima battaglia dell'Isonzo fu combattuta dal 23 giugno al 7 luglio 1915

Sottotenente del 3° Alpini, Alberto Picco giorno della conquista. «Muoio contento di avere servito bene il mio Paese». Fu sepolto a Dreznica, non lontano da Caporetto. La sua tomba venne spostata a Torino nel 1924. Prima dello scoppio della guerra, fu calciatore e tra i fondatori dello Spezia Calcio. Dal correr dietro ad un pallone alla guerra. Joško fa cenno che manca poco. Quando arriviamo in cima purtroppo la vista sulla valle dell'Isonzo è oscurata. C'è un rifugio, il Gomiš„kovo Zavetiš„e ed un ricovero d'emergenza, baracca in lamiera. La pausa è fermare il cronometro, lasciare per un attimo i cattivi pensieri a fondo valle, ridare importanza alla sacralità di questo luogo. Preghiera collettiva. Luigi accende una candela in ricordo dei caduti. Lettura di una poesia.

Cederna sale in cima al muretto davanti alla baracca in lamiera. Respiro controllato. Incrocia le gambe e chiude gli occhi. Alpini, austriaci, ungheresi. 4° Honved e 37° fanteria da Nagy Varad, oggi Oradea. Pierluigi Scolè nel suo "Gli alpini alla conquista del Monte Nero" chiarisce un punto di grande importanza, quando spiega la composizione etnica dei reparti austroungarici coinvolti quel 16 giugno 1915. «In realtà [...] non era omogenea ma comprendeva il 49 per cento di rumeni ed il 48 per cento di rumeni con un 3 per cento di nazionalità mista». Ennesima complessità. Sotto di noi solamente la nebbia fitta. Nessun rumore.
Salame ed un bicchiere di grappa. La temperatura scende. Pane, la firma sul registro. L'aria fuori ha qualcosa di elettrico. La fatica dovuta alla salita si fa sentire. Tavoli di legno. Poi sguardo a terra ed ultimo tratto per "conquistare" questa montagna sacra. Siamo avvolti dal grigio. Eppure, questo viaggio continua ad evocare chi realmente vide la terra bruciare. Comprendere fino in fondo ciò che accadde diventa verosimilmente subalterno. Come possiamo avvicinarci alla storia di questo fronte se prima non fissiamo nella nostra anima il dolore di tutti i caduti? Dove risiede il senso delle commemorazioni e delle medaglie se prima non camminiamo sopra questo enorme cimitero a cielo aperto? Siamo noi in grado di portare il peso di questa memoria e spiegarlo agli eredi di quegli stessi soldati che qui diedero la vita?

Nel silenzio m'immagino le paure di quei giovani mandati quassù. E per un attimo, quel timore diventa l'unica forza a cui aggrapparmi, per non rischiare di scivolare a valle, in quell'indifferenza collettiva, che le celebrazioni del conflitto stanno realizzando, giorno dopo giorno.

(6 - Continua. Le altre puntate sono state pubblicate il 28 giugno, il 5, 19, 26 luglio e 1 agosto)

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