In bilico fra tolleranza e radicalismi, Sarajevo vuole sperare nell’Europa
INVIATO A SARAJEVO. Un gruppo di turisti turchi entra compunto nella moschea della Baš›aršija, mentre uomini seduti ai tavolini dei bar sorseggiano caffè turco (ovviamente) e fumano come turchi (ovviamente). Il giorno dopo la visita del Papa, Sarajevo ripiomba nella normalità, al quotidiano confronto con i problemi di sempre, non c’è lavoro, lo stipendio medio è di 400 euro ma per vivere una famiglia di quattro persone deve guadagnare almeno 1.000 euro. E il costo della vita sale. Dopo i sorrisi a Papa Francesco ecco la maledetta battaglia per vivere. «Siamo sopravvissuti a una guerra - racconta Ibrahim Agic, 37 anni, musulmano credente e praticante ma non radicale, ex impiegato alla reception di un albergo e ora tassista per scelta - sopravviveremo anche alla crisi». Ecco, questa è Sarajevo. Una forza che sembra scaturire da quei cimiteri che incombono dall’alto, bianchissimi simulacri dell’odio. Una forza che scaturisce dall’essere unici, dall’essere “saralje”, sarajevesi per l’appunto. Una forza che la respiri passeggiando tra i mercatini e nel bazar di Bašcaršija.
Ibrahim in quella maledetta guerra ha perso il fratello Ismet, morto a 21 anni nella battaglia di Biha„. In piazza Alija Izetbegovi„ mi mostra il monumento in memoria dei caduti della Brigata di polizia, la prima, cui apparteneva il fratello. Più in là un gruppo di anziani sfida la calura giocando a scacchi. Ma la scacchiera non è di legno, è disegnata sul selciato e i pezzi sono alti venti centimetri. Attorno un tifo da stadio. Giovani passeggiano nello struscio domenicale sul Korzo. Sono cordiali, capiscono che sei straniero e si dicono onorati di averti come ospite. Vogliono sentirsi considerati, vogliono sentirsi membri di una comunità più grande, di una comunità europea cui si sentono di appartenere, Europa che però più che a una mamma dalle grandi mammelle assomiglia piuttosto a un’isterica matrigna.
E dopo la guerra noti subito il proliferare delle donne col velo e sono spuntate anche le donne col burqa, praticamente invisibili prima del conflitto. Il radicalismo islamico sta crescendo. «Strani personaggi con la barba», come li definisce Ibrahim, stanno acquistando case e terreni nel rione di Ilidža. «Hanno le loro moschee - spiega Ibrahim - dove si recitano preghiere strane che io musulmano non conosco, se va avanti così - sentenzia - tra poco saremo l’Iraq dell’Europa». Già, l’integralismo. Lo avverti passeggiando per strada, lo vedi. Eppure la magia della Bašcaršija resiste ancora, ma fino a quando? Questo è l’unico posto in Europa dove trovi la cattedrale cattolica, la chiesa ortodossa, la grande moschea e la sinagoga nel raggio di duecento metri. E tutto questo ha resisitito alla guerra, all’assedio, alle cannonate serbe che piovevano dalle alture di Pale.
Ibrahim è il musulmano “tipo” di Sarajevo. Attaccato alla famiglia, «ma - dice - se qualcuno guarda mia moglie sono felice perché vuol dire che ho sposato una bella donna». Sono così i musulmani “saralje”. Ma quanto resisteranno? Tra quanto il califfo stringerà i propri artigli su questo Paese musulmano in Europa? Interrogativi che corrono per le vie di Sarajevo. Qui c’è paura dell’islam integralista, ma c’è anche la considerazione che questo sta avanzando e sta catturando soprattutto le giovani generazioni. «Circolano letture sacre strane - spiega Ibrahim - che fanno brutti effetti». Poi indica la grande moschea della Bašcaršija e precisa: «Qui si prega normalmente Allah». Lui nel cuore porta una convinzione che sta cercando di trasmettere anche ai figli: nessuna religione ti dice di uccidere, di odiare, di fare del male. «Per questo - afferma - mi piace Papa Francesco, perché parla agli umili ai vinti, non porta la croce d’oro e poi gira in Ford Focus, insomma è un po’ uno di noi». «Il segreto di Sarajevo, confida ancora Ibrahim, è che noi musulmani abbiamo le famiglie che formano dei veri e propri clan sempre pronti ad aiutarsi a vicenda, a darsi una mano nell’affrontare le piccole ma anche le grandi vicissitudini del quotidiano».
Il venditore di cevapi regala un piatto del prelibato alimento a uno zingaro di 12 anni. «Ho la sorella in Italia - racconta - ma non so dove». Suo padre più in là vende profumi di contrabbando. Questa è Baš›aršjia dove suore cattoliche passeggiano accanto al rabbino o sfiorano donne infagottate nel proprio velo. È mezzogiorno e il muezzin intona la preghiera, la campana suona, ma non hai la sensazione che si stia litigando, anche per te tutto questo diventa normalità. Buongiorno Sarajevo.
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