In attesa fino a 8 ore per la visita C’è chi desiste e va a Palmanova

Alle 12.15 al Pronto soccorso di Monfalcone ci sono 38 persone, in parte in attesa, in parte in trattamento (22), contro le 40 di Cattinara e le 21 dell’ospedale Maggiore di Trieste. Alle 17 il...
Di Laura Blasich
Bonaventura Monfalcone-11.07.2016 Pronto soccorso-Monfalcone-foto di Katia Bonaventura
Bonaventura Monfalcone-11.07.2016 Pronto soccorso-Monfalcone-foto di Katia Bonaventura

Alle 12.15 al Pronto soccorso di Monfalcone ci sono 38 persone, in parte in attesa, in parte in trattamento (22), contro le 40 di Cattinara e le 21 dell’ospedale Maggiore di Trieste. Alle 17 il numero è di poco calato a 33 pazienti, mentre i tempi d’attesa sono i più alti del Friuli Venezia Giulia, per i codici verdi e quelli bianchi, cioé per i casi classificati come meno urgenti, stando alla situazione in tempo reale fornita online dalla Regione. «Ma li scrivono tanto per scrivere, perché sono qua che aspetto da oltre sette ore e un altro signore alla fine si è stancato e se n’è andato dopo essere rimasto per un periodo altrettanto lungo». Dario Zin, di Aurisina, al Pronto soccorso di Monfalcone è arrivato alle 5, risultando un codice verde al triage. «Alle 13 sono ancora qua che aspetto», racconta, tra rabbia e rassegnazione, chiedendosi, assieme ad altri, quale sia il motivo di attese sterminate da parte di chi, se non avesse avuto davvero bisogno di un aiuto, sarebbe stato volentieri altrove. Accadeva nei giorni scorsi, ma può essere una situazione tipo.

«È una vergogna - aggiunge Zin -. Non capisco con che criterio si attribuiscono i codici di priorità. La luce di emergenza in corso sopra l’ingresso del Pronto soccorso, all’interno della sala d’attesa, è accesa da quando sono arrivato. Possibile ci siano tante emergenze?». Pare di sì, perché, come spiega qualche operatore, quella mattinata ha visto un susseguirsi continuo di codici gialli, cioé casi in cui il paziente è mediamente critico, c’è presenza di rischio evolutivo e possibile pericolo di vita. «Abbiamo preso in carico incidenti, anziani disidratati ed emergenze che richiedevano un trasferimento a Trieste», fa sapere un operatore. Così, i casi meno urgenti, cioé i codici verdi e bianchi, possono attendere. Anche otto ore, com’è accaduto anche sabato scorso a un monfalconese che si era tagliato e la cui ferita ha richiesto alcuni punti di sutura.

Qualcuno comunque si stanca e, avendone i mezzi e la possibilità, dopo quattro ore e mezzo trascorse con il mal di schiena (riportato in mattinata in un infortunio sul lavoro) sulle seggiole della sala d’aspetto, decide di ottenere risposte altrove. Nello specifico a Palmanova, dove il tempo medio d’attesa era decisamente diverso da quello di Monfalcone. «Sarei dovuto andare nell’ospedale di Sempeter, appena oltre confine, dove un collega è stato curato per un problema analogo al mio in un’ora e mezza», aveva detto il ragazzo prima di andarsene. E anche se si viene “presi in carico” in tempi accettabili, come è accaduto alla gradese Nicolina Sebastianutto, non è detto che si riesca a ottenere risposte e una conclusione del percorso al Pronto soccorso in tempi altrettanto accettabili. Alle 17 la gradese, giunta al San Polo prima delle 13, era ancora nella sala d’aspetto del servizio d’emergenza, come comunicato successivamente alla nostra redazione.

«È vero comunque che la prima cosa che ti dicono è che ci sono tante ore da aspettare - aggiunge Denis, monfalconese che in Pronto soccorso accompagna un familiare -. Mi chiedo, però, se vent’anni fa c’erano meno malati. La popolazione è più o meno sempre quella, com’è che si aspetta sempre di più? Non è che sarà anche una questione di organizzazione e non solo di afflusso al Pronto soccorso?». In realtà, stando agli ultimi dati forniti, la mole di lavoro del servizio d’emergenza dell’ospedale San Polo è aumentata, mentre proprio in questi giorni la capacità di accoglienza dei reparti dell’ospedale è diminuita. «E all’esterno dell’ospedale - come osserva un altro paziente in attesa - evidentemente non ci sono risposte in grado di eliminare almeno i cosiddetti codici bianchi, cioé le situazioni non critiche, i pazienti non urgenti». È quanto osserva anche Dario Zin: «I codici bianchi se davvero non sono urgenti - dice - dovrebbero avere un’altra strada».

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