Immobili della Curia: versati a Trieste 53mila euro di Ici
Appartamenti (tra cui uno con ben 12 vani, classificato come abitazione signorile), terreni, uffici, scuole, case di riposo oltre, naturalmente, a chiese e cappelle. Sono tanti e con destinazioni diverse gli edifici che fanno capo alla Curia triestina. Non su tutti, però, la Diocesi paga ed è tenuta a pagare l’Ici. La norma che istituisce l’imposta sugli immobili, il decreto legislativo 504 del 1992, infatti, prevede che siano esentate dal pagamento, oltre ai luoghi di culto, anche «le strutture ecclesiali destinate allo svolgimento di tre tipi di attività: assistenziali, didattiche e pastorali». E questo, a conti fatti, riduce notevolmente il campo di applicazione dell’Ici.
Dall’elenco dei beni esclusi dal versamento dell’imposta per esempio, fa sapere l’Ufficio stampa della Diocesi, è escluso il grande seminario di via Besenghi: decine di stanze distribuite su cinque piani che, oltre alla redazione di Vita Nuova e agli studi di Radio Nuova Trieste, ospitano anche il liceo linguistico paritario Vittorio Bachelet e l’Istituto superiore di Scienze religiose. E sono esclusi pure gli asili e le scuole elementari gestite da religiosi, le strutture di accoglienza come il Teresiano di via dell’Istria e, vien da pensare, pure i centri di formazione spirituale come Le Beatitudini. Complesso, quest’ultimo, che peraltro non è direttamente di proprietà della Diocesi ma fa capo, come anche le Case “Domus Mariae”, “Maria Basiliadis” e “San Domenico”, all’ente di culto San Giusto, canonicamente eretto e quindi dotato di autonomia.
Cosa rientra allora nella lista degli immobili per i quali la Chiesa cittadina deve versare l’Ici? Il palazzo vescovile di via Cavana 16 (quattro piani adibiti a uffici e abitazioni, tra cui quella del presule Giampaolo Crepaldi), altri alloggi di pregio in Cittavecchia, alcuni orti, un terreno edificabile e, presumibilmente, qualche immobile dato in affitto. Un discreto patrimonio immobiliare per cui, nel 2011, la Diocesi ha versato nelle casse comunali poco meno di 53mila euro di Ici.
La cifra complessiva, tuttavia, è l’unica indicazione ufficiale fornita, seppur indirettamente dalle pagine dell’ultimo numero di Vita Nuova, dalla Curia. Nonostante i diversi tentativi telefonici e una disponibilità iniziale mai concretizzatasi, il vicario generale don Pier Emilio Salvadè ieri non ha voluto fornire ulteriori informazione.
Impossibile quindi sapere se, ad esempio, la Chiesa triestina paga l’imposta anche sulla Casa per ferie San Giusto di Borca di Cadore, gestita attraverso l’Azione cattolica. E impossibile anche capire perchè le vicine Diocesi di Venezia e Padova inseriscano nella lista dei beni soggetti all’imposta anche i rispettivi seminari e finiscano così per vedersi presentare conti di Ici ben più salati: solo per il palazzo della Curia, l’Istituto diocesano e appunto il seminario, la Diocesi lagunare ha versato infatti lo scorso anno 120mila euro, mentre nella città del Santo, secondo i dati pubblicati dal settimanale cattolico La Difesa del Popolo, il conto è arrivato addirittura a quota 660mila euro. In questa maxi cifra, va detto, rientra anche l’Ici versata dalle singole parrocchie, equiparate a enti giuridici di cui i parroci sono legali rappresentanti. Delle imposte versate autonomamente dalle parrocchie triestine, invece, non si sa assolutamente nulla. «L’ammontare di quelle cifre - si limita ad affermare su Via Nuova don Salvadè - noi non lo conosciamo assolutamente».
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