Illy: «Situazione inaudita per la tenuta del Paese ma punti di leva forti: il riscatto è possibile»
Solo un miracolo ci può salvare. Detto da un pragmatico come Riccardo Illy, piove un verdetto (quasi) irrevocabile. Ma poi da ex governatore di Regione e da imprenditore di lungo corso viene la chiamata alle armi. “La situazione è di inaudita gravità per l’economia e la tenuta del Paese. Ma resto persuaso un riscatto sia possibile” dice Illy, 64 anni, presidente del Polo del gusto.
A quali condizioni un recupero può avvenire?
«A misure finanziarie anti Covid approvate, saremo al 150% di rapporto tra Debito e Pil. Secondo gli economisti, tale rapporto è tecnicamente insostenibile, perché il nostro bassissimo tasso di crescita non sta dietro nemmeno al tasso di interesse sul debito. Ma abbiamo punti di leva importantissimi in economia e la possibilità, con pochi passi semplici, di mettere ordine anche alla casa pubblica e alle istituzioni».
Iniziamo dal capitolo riforme, dove il paese è arenato da un quarto di secolo.
«Il freno maggiore alla crescita è la burocrazia. Dobbiamo liberare gli animal spirits imprenditoriali. Stimo che vi siano almeno 40 mila leggi che avviluppano la vita delle imprese e la rendono incerta e complicata. La semplificazione è necessaria e urgente».
Lo diceva pure Berlusconi da premier.
«Mai stato berlusconiano, anzi. Ma propongo dieci testi unici da approvare con legge delega al governo. Altrimenti in parlamento si impantana tutto. Dieci università potrebbero scrivere le bozze dei testi unici nelle materie fondamentali. E poi lo Stato dovrebbe impegnarsi in un grande piano di investimenti nelle infrastrutture per telecomunicazioni, energia, trasporti e a sostegno della ricerca e della scuola».
Ma i conti pubblici possono reggere nel frattempo o servirà introdurre nuove tasse?
«Dobbiamo aumentare le entrate, ma non credo ci sia spazio sulle aliquote Irpef e per una patrimoniale. L’unica imposta bassissima è quella di successione ed è l’unica non recessiva. E avrebbe il vantaggio di mettere sul mercato una gran quantità di immobili oggi chiusi o sotto-utilizzati».
Qual è il giudizio di un ex sindaco, ex governatore, ex parlamentare sull’operato delle istituzioni nella emergenza virus?
«Finora hanno risposto piuttosto bene, sia il governo che le Regioni. Chapeau! Hanno fatto le cose giuste, assicurando liquidità per le famiglie e alle imprese ferme. Manca ancora però la velocità. Nel nostro gruppo abbiamo una azienda vicino a Torino e un’altra che sta in Francia. La seconda è già in grado di incassare circa 4,5 milioni e mezzo di finanziamenti, garantiti al 100% dallo Stato francese. Per l’altra, la banca dice che occorre una procedura complessa e la garanzia di Sace. Per nostra fortuna Domori, se il lockdown sarà allentato, contiamo possa farcela anche senza lo Stato».
Lei non teme una catena di fallimenti e una grave depressione?
«Ci sarà distruzione. Ci saranno fusioni e aggregazioni, nascita di gruppi più forti. Ripartiremo. A livello mondiale ci sono riconosciute capacità straordinarie nell’ingegno e nella estetica. Per esempio, nella robotica siamo leader e non è poco in tempi in cui la intelligenza artificiale applicata alla automazione industriale sarà ancora più spinta. Riguardo al tema estetica, che significa moda, prodotti alimentari, arredo e design e quanto incroci lo stile, osservo che continuano a crescere nel mondo i cittadini abbienti e con ciò gli spazi per noi. Ci sono potenzialità di mercato enormi per le imprese italiane».
Nel concreto quali prospettive sta coltivando per le imprese di famiglia?
«Non solo il mare è in tempesta, ma per chi sta nel nostro segmento di alimentare manca il pesce, ossia i consumatori. Essendo produttori di beni di alta gamma, distribuiti prevalentemente con bar, ristoranti e pasticcerie, la clientela si è grandemente rarefatta. I cioccolati di Domori e dell’inglese Prestat, i tè di Damman Frères, i vini di Mastrojanni, le confetture di Agrimontana stanno avendo un grande sviluppo su e-commerce. Ma non basta e dovremo potenziare enormemente questo canale di vendita e sviluppare le esportazioni».
E nonostante questo non siete in tensione finanziaria?
«Domori aveva appena chiuso il primo bilancio in utile della sua storia, il resto era già in buona salute. Siamo fiduciosi. Un paio di mesi in apnea una impresa ben organizzata e capitalizzata li può tollerare, oltre diventa grave. A maggio la ripartenza è indispensabile».
Avete tutte le risorse necessarie per una nuova fase di sviluppo?
«Vedo con grande interesse l’entrata di un partner finanziario di minoranza, attestato tra 20 e 40%, per accelerare la crescita e sostenere acquisizioni nei settori vitivinicolo, dei biscotti e delle caramelle, dove sono convinto sia possibile innovare e realizzare prodotti di alta gamma. L’obiettivo è di quotare le singole società operative, da principio con Damman che è la più grande. Abbiamo già varie trattative in corso per acquisizioni. E sulla operazione finanziaria abbiamo trovato interesse da parte di banche di investimento orientate a restare con noi 10 anni. Contavo di trovare il partner nel 2020, ma slittiamo al 2021. Minimo rinvio per virus».
Ma troverete un partner finanziario per dieci anni?
«Siamo un gruppo familiare, il nostro traguardo si misura in generazioni. Dipende dalla crescita attesa. Quando entrai in Illy nel 1977, l’azienda lavorava 1000 tonnellate di caffè e aveva 120 dipendenti, lo scorso anno ha prodotto 20mila tonnellate e ha circa mille dipendenti». —
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