Il virus si accanisce sugli afro-americani
TRIESTE. Ai tanti enigmi di questa malattia – perché il virus è innocuo nei bambini? Perché obesità e ipertensione sono fattori aggravanti? Perché il virus scatena la trombosi disseminata? – se ne sono aggiunti da poco altri due. Da quando il nuovo coronavirus è arrivato in Francia, Inghilterra e Stati Uniti è risultato subito chiaro che questo è molto più aggressivo e la malattia è più mortale nelle persone di origine africana. Il Center for Disease Control statunitense riporta che il 33% delle persone che richiedono ospedalizzazione per Covid-19 sono afro-americani, mentre la loro frequenza nella popolazione generale è tre volte di meno.
Non ci si era resi conto subito di questa caratteristica semplicemente perché in Cina non ci sono persone di colore e da noi in Italia sono soprattutto giovani. Anche ripulendo questi dati da fattori epidemiologici confondenti relativi alle fasce sociali e alla facilità di esposizione al virus, la differenza nella severità della malattia rimane inequivocabile. Variazioni genetiche nel recettore virale Ace2 o in altre proteine della cellula che il virus sfrutta per la propria replicazione potrebbero essere responsabili di questo differente corso degli eventi.
L’altra sorpresa riguarda sempre gli africani, ma stavolta in all’opposto. Nonostante il virus sia arrivato da diverse settimane sia nell’Africa mediterranea che in quella sub-sahariana non sembra colpire così duramente come negli altri continenti. Secondo l’Africa Centers for Disease Control and Prevention sono “soltanto” un migliaio i morti di coronavirus dichiarati complessivamente da 30 diversi paesi africani. Decisamente poco per un Continente con oltre 1,3 miliardi di persone.
E questo nonostante in molti di questi paesi siano ancora consentiti assembramenti nei mercati e nei luoghi di culto, oltre che contatti continui nella vita quotidiana. Che il virus non ami il clima caldo e umido? Lo sembra suggerire un lavoro pubblicato on line questa settimana da un gruppo cinese. Ma c’è molta discussione al proposito. Speriamo che il dato fotografi fedelmente la situazione reale e non sia invece dovuto da un lato alla diffusione che deve ancora realizzarsi completamente e dall’altro alla scarsa capacità di accertamento diagnostico di molti paesi africani.
Quello che invece non manca in Africa è il folclore anche intorno al coronavirus. La scorsa settimana Mike Mbuvi Sonko, governatore della capitale del Kenya Nairobi, insieme ai kit di protezione ha consegnato ai poveri della città anche una bottiglietta di brandy, nella convinzione che un bel sorso di alcol in gola uccida il virus. La distilleria della francese Hennessy che opera nel Paese si è immediatamente dissociata.
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