Il vicepresidente Fipe: «Il ritocco verso l’alto? Giusto visti gli esborsi che pesano sulle attività»
È giusto o sbagliato aumentare il prezzo della tazzina di caffè? «Giustissimo», risponde Bruno Vesnaver, presidente regionale e vicepresidente provinciale della Fipe. La risposta non si limita a una sola parola ma è piuttosto articolata.
«Sono d’accordo sull’aumento di dieci centesimi – spiega -, perché l’esercente a monte ha dovuto affrontare dei maggiori costi per la gestione generale. Oltre a questo dobbiamo anche pensare che facciamo investimenti continui nei nostri bar e ristoranti. Se vogliamo, la scelta dell’incremento è dovuta anche al fatto che c’è magari chi si porta via qualcosa dai locali, ad esempio lo zucchero». I costi della “gestione generale” si traducono in una lunga lista di spese con un sovrapprezzo abbastanza consistente, a partire dalla materia prima, il caffè, «che è aumentato – sottolinea Vesnaver -, ma non per tutti, dipende dal marchio».
«E poi sono aumentati anche i costi dei dipendenti e delle materie prime – aggiunge -, l’adeguamento lo hanno fatto tutti. Insomma non c’è da stupirsi per dieci cent in più, sempre però che venga offerto un buon servizio, chiaro». E chi ha deciso invece di non mettere in conto al cliente quei dieci cent in più, perché lo fa? Dipende.
«Chi non aumenta - osserva -, mantenendo addirittura il prezzo della tazzina del caffè a 0,90 centesimi - e non sono solo gli stranieri, che in qualche caso offrono anche il caffè a 1,10 euro –, probabilmente guadagna di più sui cocktail e aperitivi, per esempio. È una politica diversa, anche se non è corretto mantenere un prezzo così basso, ma d’altronde il mercato è libero e quindi ciascuno può fare ciò che vuole». In altri casi invece chi ha optato per mantenere le tariffe invariate è perché «fa tantissimi caffè e ha quindi ha un accordo con il fornitore».
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