Il vescovo Redaelli: sì all’accoglienza no a chi ne approfitta
«Le Caritas devono essere più vigilanti su chi ha bisogno, non solo con gli immigrati ma anche verso chi utilizza la mensa dei poveri o l’emporio. Bisogna agire con molta saggezza, stare attenti a chi ne approfitta. E di questo ne parlerò nei prossimi giorni anche a livello di Conferenza triveneta»: risponde così l’arcivescovo Carlo Redaelli a chi, nell’incontro per gli auguri di Natale con i rappresentanti delle istituzioni, sindaci in prima fila, aveva sollevato il complesso problema dell’accoglienza.
Il problema era stato toccato in particolare dal sindaco di Gorizia Ettore Romoli che, alla luce di quanto sta accadendo a Roma dove sono coinvolte cooperative che gestiscono campi profughi, ha sottolineato il pericolo che, anche da noi, lo si faccia per soldi e non per spirito di servizio.
E di immigrazione ha parlato anche il deputato Giorgio Brandolin ricordando che siamo dinanzi a un fenomeno migratorio ormai strutturale e come tale va affrontato. «Aiutateci a costruire un piano nazionale ed europeo - ha detto rivolto ai sindaci in sala - in modo che nelle nostre comunità non si inserisca la paura che porta al razzismo e non favorisce l’integrazione».
Sul fronte dell’accoglienza si è spesa il sindaco di San Canzian, Silvia Caruso, alla quale è toccato il saluto di apertura dell’incontro. «Dobbiamo fare maggior informazione perché siamo difronte a una disinformazione che colpisce un po’ tutti, compresi noi amministratori - ha detto riferendosi anche la campagna antipolitica che sta dominando in questi tempi e che trova facile terreno nella gente -. Dobbiamo alzare la testa, svegliare le coscienze e sul campo della solidarietà oggi ci viene chiesto uno sforzo in più». Riferendosi ai lavori socialmente utili, che spesso vengono rifiutati perché sono a tempo, Caruso ha rimarcato che dobbiamo spenderci di più su questa strada, mezza speranza è meglio di nessuna speranza». E riferendosi a Giuseppe e Maria che a Betlemme furono costretti a rifugiarsi in una stalla, ha sottolineato che «oggi sono in molti dalla parte degli osti che tenevano chiuse le porte delle locande, noi invece dobbiamo essere capaci di aprire quelle porte».
Il vescovo, nel suo intervento incentrato sulla pace collegandosi all’anniversario della grande guerra ma anche a quello dei 70 anni della fine della seconda che cade nel 2015, si è richiamato a quanto detto da papa Francesco a Redipuglia citando quel grido, più volte ripetuto, “A me che importa”, che è un atteggiamento di disinteresse radice di ogni guerra.
Rivolgendosi agli amministratori ha ricordato che «bisogna mettere la passione, evitando di agire solo in modo freddo e ragionieristico. Ci vuole lucidità per non farsi condizionare dagli umori, dai ricatti». E richiamandosi a Pilato che si è lavato le mani dinanzi a Gesù, Redaelli ha aggiunto che « bisogna essere capaci di gestire le emozioni della gente, anche quelle pericolose come può essere la paura del diverso e dello straniero».
L’ultimo parte dell’intervento lo ha rivolto ai giovani che «sono una risorsa, vanno ascoltati e responsabilizzati» e ha concluso : «Non perdete la speranza, lavorate per la pace, è importante per la nostra gente, per i nostri giovani».
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